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"Se non posso danzare, allora non è la mia rivoluzione. Passioni ... in genere"

di Nicoletta Pirotta
martedì 28 ottobre 2014

Premessa

L’etimo della parola “passione” è “patire”. In effetti alle passioni spesso si associa l’idea di qualcosa capace di sconvolgere e tormentare fino ad indurre al sacrificio di sé stesse/i. Basta pensare alla “passione della croce” che, da questo punto di vista, può essere intesa come vera e propria metafora. Rimando a questo proposito alle interessanti analisi di Adriana Cavarero, esponente importante di un femminismo nel quale non mi riconosco ma al quale non si può negare una grande capacità evocativa, che riflette sulla passione di un Cristo che si fa corpo (attraverso il corpo di una donna) ed il cui corpo viene umiliato, offeso, ferito, martoriato. O basta ricordare alcuni grandi classici della letteratura nei quali le figure femminili vengono quasi sempre presentate in preda a passioni travolgenti che irrompono e sconvolgono l’esistenza. Un “pathos” contrapposto ad un “logos” che rende le donne, in particolare, scarsamente affidabili. Ricordo fra tutte la figura di Emma Bovary. Ma proprio Emma, simbolo di una donna che, in nome dei diritti dell’amore, si affranca dal giogo di un matrimonio infelice e sfida le convenzioni borghesi, ci ricorda che le passioni possono essere intese come desiderio di immaginare un altro, un oltre, un meglio. Passioni cioè che sappiano sostenere e mettere in azione un pensiero. Passioni che non possono essere separate dal soggetto desiderante e che dunque hanno bisogno di un corpo. Ma non di un corpo dolente o sconvolto bensì di un corpo consapevole di sé ed in relazione dialettica con il contesto che lo circonda.

L’utilizzo “ideologico” delle passioni

Le passioni se intese nei modi sopra evocati possono quindi essere intese come processi psichici che nascono in un corpo (senza il quale non esisterebbero) ma che al contempo sono iscritti in un linguaggio, in una cultura e in una relazione con l’altra/o da sé. Sono “vie energetiche” che legano il corpo alla psiche ed al contempo risentono del contesto in cui sono inserite e del registro simbolico che domina tale contesto. Ciò vuol anche dire che le passioni possono essere orientate in un modo piuttosto che in un altro a seconda del della definizione di identità e di ruoli che si desidera affermare sul piano sociale. Ma vuole anche dire che le identità non sono determinate esclusivamente dalla struttura sociale ma altresì dalle contraddizioni, dagli antagonismi e dai paradossi della vita psichica.

Il potenziale simbolico delle passioni ne consente quindi un utilizzo “ideologico" da parte dei sistemi di dominazione. Utilizzo “ideologico” che può assumere la forma di un vero e proprio “governo delle passioni”, funzionale ad imporre un dominio su un piano non solo culturale. Sergio Labate nel suo ricco contributo ha parlato ampiamente del “governo neoliberista delle passioni”. Questo mi consente di non soffermarmi sul sistema di dominazione capitalista per concentrarmi, invece, su quello patriarcale. Il patriarcato ha storicamente prodotto identità di genere fondate sul punto di vista di un solo soggetto (quello maschile) e su regole truccate ( la rappresentazione del corpo sessuato femminile è stato imposto dall’immaginario dell’altro sesso). L’identità femminile si è dunque plasmata o sul modello domestico nel quale ha prevalso l’idea della passione come cura/accudimento/ sacrificio ( la madre, la sposa, la figlia, la sorella) oppure sul modello della donna-passione nel quale prevalgono l’abbandono,la trasgressione e la tempesta dei sensi. In entrambi i casi il beneficiario è il genere maschile, in base al fatto che esso detiene il pieno possesso del “corpo” femminile. Da qui gli archetipi della “proprietà privata” (l’appropriazione del corpo sessuato femminile), dell’”alienazione” del tempo per sé (sotto la forma lavoro di riproduzione domestico e biologico) e della gerarchizzazione sociale (il potere “su”).

Una soggettività nuova

Partire dalle “passioni”, dunque, costringe ad affrontare la questione della soggettività ( così cara ad ALBA, a partire dal manifesto costitutivo) e delle sue dinamiche di costruzione riposizionando l’angolo di visuale da cui si osserva la realtà. Ciò a cui mi riferisco quando parlo di riposizionamento chiama in causa la ricerca teorica femminista (una miniera d’oro se solo lo si volesse vedere!) che non può essere né sottovalutata né bypassata se si vuole davvero affrontare, specialmente in campo politico, il tema della ricostruzione di una soggettività. Penso, per essere chiara, ad una soggettività immaginata al di fuori della parte più logora dei miti ma sempre all’interno di un orizzonte di eguaglianza, liberazione, lotta.

Riposizionare l’angolo di visuale fa riferimento , soprattutto, alla pratica del “partire da sé” intesa come capacità di “misurarsi con i saperi dell’antropologia e della psicoanalisi”. Se ci si riposizionasse in questa dimensione si potrebbe accettare l’idea che l’ ’”IO” non è mai “padrone a casa propria” e che il “cogito ergo sum” non basta a spiegare la soggettività umana ( il femminile ed il maschile) nella sua complessità e nelle sue articolazioni. Con la pratica del “partire da sé” il femminismo ha potuto cogliere come la relazione di potere fra donne ed uomini passa per l’inconscio ed ha una dimensione che è antropologica più che storica. Per questo la materia del contendere non sta tanto (o solo) nella riappropriazione della “sessualità espropriata” o nella liberazione del piacere represso. Né tantomeno basta associare alla lotta per la liberazione sessuale tutte le altre lotte contro le oppressioni e le repressioni di una società gerarchizzata. Se l’angolo di visuale è quello del “partire da sé” si coglie perfettamente che quello che c’è in gioco riguarda in primo luogo il ruolo del potere nella soggettivizzazione e, contemporaneamente, del sesso nel potere. Pensare ad una nuova soggettività senza i saperi da cui deriva il partire da sé significa , a mio avviso, condannarsi all’insuccesso e all’ennesima sconfitta.

Un appassionato desiderio di rivoluzione

La profonda crisi che stiamo vivendo e che riguarda entrambi i sistemi di potere dominanti (patriarcato e capitalismo) potrebbe essere l’occasione che consente di ripensare una soggettività nuova. La crisi rende tali sistemi ancora più aggressivi : l’identità collettiva viene ricercata in simboli ad alto tasso emotivo (la fede, il sangue ,l’etnia, riaffiorano integralismi di varia natura a partire da quello religioso, si risvegliano tentazioni autoritarie e si accelera il processo di decomposizione dei diritti sociali. In Occidente la perdita di impeto delle passioni civili che hanno animato le lotte del secolo scorso ed il prosciugarsi della speranza utopica che li sosteneva rendono il quadro se possibile ancora più fosco. Eppure la “coscienza” di sé e del mondo ( in particolare fra le donne) non è morta e neppure il desiderio di un altro, di un oltre, di un meglio. Se questo è vero non si può desiderare nulla di meno di un processo capace di “rivoluzionare” il presente agendo le necessarie rotture di senso, di pratiche, di orizzonti. C’è bisogno di lotta e di azione certo. Ma ciò non basterebbe se non fossimo in grado di immaginare un altro modo di produrre e di riprodurre , un altro modello di relazioni sociali , un altro modo di intendere il potere per trasformare le forme sociali e psichiche della nostra esistenza. Insieme alla capacità di reinterrogarci sulle modalità di soggettivizzazione di un desiderio e di una passione, sulle modalità di riproduzione (anche individuali) della struttura ideologica di dominio,sulla qualità delle relazioni fra donne e uomini. Scoprendo la dinamica energetica del conflitto e dell’ “Eros alato” cioè di un amore consapevole verso sé stessi ed il mondo.

Nicoletta Pirotta

Riferimenti bibliografici: La storia delle passioni (a cura di ) Silvia Vegetti Finzi

Da Vladimier Illich a Vladimir Luxuria Lidia Cirillo

Le pouvoir a-t-il un sexe atti del seminario della Fondation “Gabriel Peri” Paris

Pouvoir de la pulsion, pulsion de pouvoir Nicole Edith Thevenin

Largo all’Eros alato Aleksandra Kollontaj


In risposta a:

"Se non posso danzare, allora non è la mia rivoluzione. Passioni ... in genere"

25 dicembre 201710:20, di johndd110
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