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Europei, alzate la testa

di Saskia Sassen
mercoledì 28 maggio 2014

Perché l’Europa ha gestito la crisi di questi anni nel modo in cui l’ha fatto? L’obiettivo era salvare la finanza, le multinazionali e la classe politica – a spese dei lavoratori, delle piccole imprese e delle economie locali. In sostanza, la strategia è stata quella di tutelare i proprietari di grandi capitali e di scaricare i costi sul 20-30% più povero della società. La storia degli ultimi vent’anni è fatta di aumento dei profitti, caduta delle tasse sulle imprese e gonfiarsi dei deficit pubblici.

La tesi del mio ultimo libro, Expulsions: brutality and complexity in the global economy, è che siamo entrati in una nuova fase storica, caratterizzata dall’ "espulsione" delle persone dalle condizioni economiche e sociali precedenti, dai loro progetti di vita, dalla loro esclusione dal "contratto sociale" che era al centro delle democrazie liberali. È molto più di un aumento nelle disuguaglianze e nella povertà. Non è un fenomeno ancora pienamente visibile, e non è una condizione che riguardi la maggioranza delle persone. Si tratta però della generalizzazione di condizioni estreme finora presenti solo ai margini del sistema, spostamenti che non sono ancora individuati dalle statistiche tradizionali. Le classi medie impoverite possono vivere ancora nelle stesse belle case di prima, ma dietro la facciata crescono povertà e disperazione, si trovano costrette a vendere i loro beni per pagare il mutuo, i figli adulti non possono andare via di casa.

La Grecia, la Spagna e il Portogallo sono la dimostrazione di quanto un’economia si possa contrarre in poco tempo e mostrano la tendenza generale al ridimensionamento dello spazio dell’economia nei paesi avanzati. Si parla di «bassa crescita e alta disoccupazione», ma questi termini sono troppo vaghi per descrivere il diffondersi di condizioni estreme a cui assistiamo in tutti i paesi.

In realtà, stiamo assistendo a una ridefinizione di quella che è "l’economia". I disoccupati che perdono tutto si ritrovano al di fuori di quella che è considerata "l’economia", e vengono esclusi dalle statistiche dei senza lavoro. Lo stesso vale per i piccoli imprenditori che perdono tutto e si suicidano. O per i professionisti e laureati che abbandonano i loro paesi o l’Europa. Questi fenomeni ridimensionano lo spazio dell’economia, escludendo i più fragili. È un processo di espulsione analogo alla "pulizia etnica", in cui gli elementi problematici della popolazione vengono semplicemente eliminati. Quello che rimane dell’economia – perfino in Grecia e Portogallo – può essere presentato come «sulla via della ripresa», ed è questa la narrazione che offrono in Europa Fondo monetario e Banca centrale europea, le uniche voci ascoltate.

Una seconda caratteristica delle politiche europee è stata quella di presentare tutti i paesi in crisi come «casi unici». La Grecia era un paese povero con altissima evasione fiscale e inefficienza burocratica. Il Portogallo e la Spagna erano anch’essi casi estremi, ma per motivi diversi. Non è così. Gli stessi fenomeni che sono estremi in questi paesi sono diffusi in tutta Europa: si tratta delle condizioni strutturali della fase del capitalismo apertasi negli anni ottanta. I pesantissimi tagli alla spesa sociale, il crollo dell’occupazione e l’aumento delle imposte in Grecia e Spagna sono i segni di una profonda ristrutturazione, che in misura minore sta avvenendo in tutta l’eurozona, e anche in paesi come gli Stati Uniti.

Un aspetto chiave di questo processo è il tentativo di tener in piedi l’economia privata eliminando le spese eccessive legate al contratto sociale. Il rimborso del debito e l’austerità sono meccanismi che impongono disciplina e tutelano le imprese, ma non fanno crescere produzione e occupazione. Qualunque sia la logica che divide in Europa vincitori e vinti, essa lacera profondamente il tessuto sociale ed economico di un paese: negli ultimi anni la produzione è crollata in tutto il Sud Europa, smentendo l’idea secondo cui il l’austerità favorisca la crescita. E i dati dimenticano i tanti che sono oggi esclusi dell’economia formale.



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