La domanda può essere formulata in due modi: l’Europa è un museo o l’Europa è (diventerà) solo un museo? Guardiamo innanzitutto la posizione degli europei: se chiedi a un qualsiasi europeo dell’Europa, ti risponderà che la sua patria, la sua nazione è in Europa. Qualcuno aggiungerà anche che l’Europa è la sua casa più grande. È un’esperienza comune, ogni volta che un europeo torna da un altro continente, di provare la sensazione di essere tornati a casa. Se insistete a chiedere a quell’europeo cosa significa l’Europa per lui (o lei), vi risponderà citando l’Unione Europea, la democrazia, ma anche aspetti della civiltà, come le regole nel vestire, il tipo di famiglia, il cibo preferito e così via.
Sempre di più gli “stranieri”, gli “estranei” per loro sono persone con preferenze differenti. Se andate ancora più in profondità e gli chiedete della cultura, vi citerà più facilmente il cristianesimo che non l’arte o i musei. Molti europei sicuramente vanno orgogliosi del loro patrimonio culturale, e questo patrimonio include visite a città e musei famosi, in particolare quelli più segnalati dalle guide turistiche. Da questo punto di vista l’Europa diventa anche un museo per gli europei: si scattano e si collezionano foto, e insieme con le foto qualche ricordo. Gli europei dei nostri giorni non vivono la discrepanza, per non dire l’abisso, fra le tradizioni culturali dell’Europa e la loro vita effettiva sul continente europeo.
Quando ero giovane io era diverso. Io ho vissuto in Paesi totalitari, in un’Europa di campi di concentramento e campi di sterminio. Quando Thomas Mann visitò l’Ungheria, il più grande poeta di quell’epoca, Attila József, scrisse un poema in suo onore, che si concludeva così: «Siamo estasiati di vedere finalmente tra gli uomini bianchi un europeo». Per noi a quel tempo c’erano due Europe: l’Europa dei campi di sterminio, dei massacri, delle guerre, e l’Europa della poesia, dell’arte. L’altra Europa. In termini filosofici distinguevamo, senza conoscere quelle parole, tra l’Europa empirica e l’Europa trascendente. L’Europa trascendente era l’Europa della cultura umanista, della poesia, di un altro mondo. L’Europa empirica era il nostro mondo reale fatto di guerra, lager, fame e morte. L’Europa trascendentale era la promessa. Per la sua stessa esistenza e come consolazione. Quante volte abbiamo citato l’ Ode al vento occidentale di Shelley: noi che vivevamo nell’inverno della storia vi leggevamo la promessa che la primavera non poteva essere troppo lontana. Quanto era affascinante un Baudelaire che desidera fuggire lontano con la sua amata.
Musei o campi di concentramento: questo era il dilemma. Per il momento il dilemma sembra risolto: ci sono rimasti solo i musei. L’Europa è sempre stata — tra le altre cose — anche un museo, almeno da quando i re hanno cominciato a collezionare quadri, da quando i papi hanno invitato gli architetti a creare grandi cattedrali, da quando i borghesi hanno cominciato ad andare ai concerti e da quando Gutenberg ha scoperto la stampa. Ma quando tutto questo avveniva, l’Europa era ancora solo un piccolo continente, e il prezioso concetto di “Europa” non era ancora venuto alla luce. La “cultura europea” come concetto, come idea, è comparsa tardi, ha iniziato la sua carriera con l’idea di Goethe di una “letteratura mondiale” (considerando che l’Europa, almeno nel suo aspetto culturale, all’epoca era identificata con il mondo). Erano pochi quelli che potevano viaggiare per vedere la “cultura europea” dal vivo, e quei pochi andavano per lo più in Italia, ma la stampa cominciò a fare il suo lavoro dalla seconda metà del Settecento in poi: disegni di importanti opere d’arte, e successivamente anche riproduzioni, viaggiavano al posto delle persone.
La tradizione, il “museo”, cioè l’arte “alta”, aveva in breve tre funzioni: la contemplazione, l’ispirazione e l’innovazione. Le prime due sono rimaste vive fino a oggi. Il problema odierno dell’Europa “come semplice museo” ha a che fare con la terza funzione. Dal Rinascimento in poi, insieme alla nascita del concetto di “progresso”, gli artisti importanti dovevano costantemente andare oltre la tradizione da cui provenivano. Questo dinamismo è finito con il superamento di tutti gli stili e scuole avvenuto con l’high modernism. Avvennero due cose: l’arte europea, al pari della filosofia, divenne una faccenda individuale, e al tempo stesso cessò di essere europea. Sono la globalizzazione e la personificazione dell’arte che hanno fatto sorgere la domanda se l’Europa non sia diventata solo un museo. Per non dare adito a malintesi, è il caso di dire che gli artisti europei continuano a creare opere d’arte importanti, ma lo stesso fanno gli artisti cinesi, giapponesi e via discorrendo. Cosa che hanno sempre fatto, ma non è questo il punto: il punto è che è impossibile distinguere le opere d’arte create in un continente da quelle create negli altri continenti. Il fatto che un maggior numero di premi Nobel provenga da continenti diversi dall’Europa è solo l’aspetto più superficiale del cambiamento. La sostanza è che tutti questi scrittori, a parte un po’ di colore locale ogni tanto, appartengono allo stesso mondo. Quello che resta specificamente europeo è il “museo”, la sua tradizione culturale unica, non imitabile. Ma finché esisterà creazione artistica contemporanea, l’Europa non si trasformerà in un puro e semplice museo.
Anche la democrazia liberale europea non è un semplice museo. La democrazia europea, se eccettuiamo l’Atene antica, non è molto vecchia. La democrazia in America è più vecchia, più stabile, anche più popolare. Ma rimaniamo al tema dell’Europa come semplice museo. Dopo aver parlato del punto di vista degli europei, voglio soffermarmi sul punto di vista dei non europei. Qui è il caso di distinguere fra turisti ricchi e rifugiati poveri. Per i rifugiati poveri in fuga, l’Europa è la Terra Promessa. I giovani sognano l’Europa, un continente dove non si corra il rischio di morire, dove lavorare e studiare.
L’Europa è un semplice museo soltanto per i turisti ricchi. Questo museo include anche le stradine medievali, le case, in altre parole la storia. E il gusto del cibo, del vino, il colore del cielo. Fra le migliaia di turisti, ce ne saranno sempre almeno tre che cominceranno a contemplare, che non vedranno soltanto il passato dell’Europa reificato nei musei, ma anche il presente vivo e il futuro. L’utopia, o per usare le parole di Adorno, «la promessa di felicità».
Torniamo ai tre utilizzi dei musei nel senso più ampio del termine: contemplazione, ispirazione e innovazione. L’innovazione, intesa come creazione non semplicemente di grandi opere d’arte, ma anche come creazione di nuovi stili e scuole, non è più possibile, almeno così sembra. La nostra tanto amata creatività ora la condividiamo con altre persone nel mondo.
L’Europa diventerebbe un puro e semplice museo se dovesse scomparire anche la fantasia, lo spirito creativo degli europei, se gli europei dovessero limitarsi a starsene seduti sugli antichi allori, se l’ispirazione ricevuta dal passato dovesse lentamente morire, se la democrazia liberale dovesse diventare una questione di abitudine. Sì, l’Europa potrebbe diventare un semplice “museo all’aria aperta”: ma speriamo che non accada.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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