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I saluti per il 2014 di Ariane Mnouchkine

Regista e direttora del "Theatre du Soleil" di Parigi
giovedì 16 gennaio 2014

Les vœux d’ Ariane Mnouchkine. Mes chères concitoyennes, mes chers concitoyens,

À l’aube de cette année 2014, je vous souhaite beaucoup de bonheur.Une fois dit ça… qu’ai-je dit? Que souhaité-je vraiment ?

Je m’explique . Je nous souhaite d’abord une fuite périlleuse et ensuite un immense chantier.

D’abord fuir la peste de cette tristesse gluante, que par tombereaux entiers, tous les jours, on déverse sur nous, cette vase venimeuse, faite de haine de soi, de haine de l’autre, de méfiance de tout le monde, de ressentiments passifs et contagieux, d’amertumes stériles, de hargnes persécutoires.

Fuir l’incrédulité ricanante, enflée de sa propre importance, fuir les triomphants prophètes de l’échec inévitable, fuir les pleureurs et vestales d’un passé avorté à jamais et barrant tout futur. Une fois réussie cette difficile évasion, je nous souhaite un chantier, un chantier colossal, pharaonique, himalayesque, inouï, surhumain parce que justement totalement humain.

Le chantier des chantiers.

Ce chantier sur la palissade duquel, dès les élections passées, nos élus s’empressent d’apposer l’écriteau : “Chantier Interdit Au Public“Je crois que j’ose parler de la démocratie.Etre consultés de temps à autre ne suffit plus. Plus du tout.

Déclarons-nous, tous, responsables de tout.

Entrons sur ce chantier. Pas besoin de violence. De cris, de rage. Pas besoin d’hostilité. Juste besoin de confiance. De regards. D’écoute. De constance.

L’Etat, en l’occurrence, c’est nous.

Ouvrons des laboratoires, ou rejoignons ceux, innombrables déjà, où, à tant de questions et de problèmes, des femmes et des hommes trouvent des réponses, imaginent et proposent des solutions qui ne demandent qu’à être expérimentées et mises en pratique, avec audace et prudence, avec confiance et exigence.

Ajoutons partout, à celles qui existent déjà, des petites zones libres.Oui, de ces petits exemples courageux qui incitent au courage créatif. Expérimentons, nous-mêmes, expérimentons, humblement, joyeusement et sans arrogance.

Que l’échec soit notre professeur, pas notre censeur.

Cent fois sur le métier remettons notre ouvrage. Scrutons nos éprouvettes minuscules ou nos alambics énormes afin de progresser concrètement dans notre recherche d’une meilleure société humaine. Car c’est du minuscule au cosmique que ce travail nous entrainera et entraine déjà ceux qui s’y confrontent.

Comme les poètes qui savent qu’il faut, tantôt écrire une ode à la tomate ou à la soupe de congre, tantôt écrire Les Châtiments. Sauver une herbe médicinale en Amazonie, garantir aux femmes la liberté, l’égalité, la vie souvent.

Et surtout, surtout, disons à nos enfants qu’ils arrivent sur terre quasiment au début d’une histoire et non pas à sa fin désenchantée. Ils en sont encore aux tout premiers chapitres d’une longue et fabuleuse épopée dont ils seront, non pas les rouages muets, mais au contraire, les inévitables auteurs. Il faut qu’ils sachent que, ô merveille, ils ont une œuvre, faite de mille œuvres, à accomplir, ensemble, avec leurs enfants et les enfants de leurs enfants. Disons-le, haut et fort, car, beaucoup d’entre eux ont entendu le contraire, et je crois, moi, que cela les désespère.

Quel plus riche héritage pouvons-nous léguer à nos enfants que la joie de savoir que la genèse n’est pas encore terminée et qu’elle leur appartient?

Qu’attendons-nous ? L’année 2014 ? La voici.

PS : Les deux poètes cités sont évidemment Pablo Neruda et Victor Hugo.

TRADUZIONE IN ITALIANO A CURA DI IFE ITALIA:

I saluti di Ariane Mnouchkine. (Regista e direttora del “Theatre du Soleil” di Parigi).

Mie care concittadine e miei cari concittadini all’alba di quest’anno 2014, vi auguro tanta felicità.

Una volta dire che vi ho detto questo…. che ho detto? Che ho desiderato augurarvi davvero?

Mi spiego: vorrei augurarvi innanzitutto una fuga pericolosa e poi la realizzazione di un enorme cantiere.

Prima la fuga dalla peste di questa tristezza viscida che fa cadere tutti i giorni su di noi un vaso velenoso, fatta di odio di sé, di odio delle altre e degli altri, una diffidenza contagiosa nei confronti di tutti, un passivo risentimento, un’ amarezza sterile, un irritante senso di persecuzione. Fuggire l’incredulità ridacchiante, tronfia di importanza, i profeti trionfanti dell’inevitabile fallimento fuggire il lutto e le vestali di un passato orientato al mai che impedisce qualsiasi futuro.

Una volta riuscita questa fuga difficile, auguriamoci di costruire: una costruzione colossale, faraonica, himalaiana, incredibile, sovrumana proprio in quanto giustamente e totalmente umana.

Un cantiere dei cantieri.

Un cantiere sul quale , nelle passate elezioni, i nostri “rappresentanti istituzionali” hanno voluto apporre la scritta : ’Proibito l’accesso al pubblico’. Oso dunque parlare di democrazia.

Essere consultati di volta in volta non è più sufficiente. Non lo è più affatto. Tutti noi, dobbiamo dichiararci responsabile di tutto. Entriamo in questo cantiere. Non c’è bisogno di violenza, di grida di rabbia, di ostilità. C’è solo bisogno di fiducia. Di sguardi. Di ascolto. Di costanza. Lo stato, se è necessario, siamo noi.

Aprire laboratori o unirsi a quelli, innumerevoli , che già ci sono dove, donne ed uomini, cercano (e trovano) risposte a numerose questioni e a molti problemi , immaginano e propongono soluzioni che chiedono di essere sperimentate e messe in pratica, con audacia e prudenza, con fiducia e competenza.

Ovunque, aggiungere a quelle già esistenti, piccole zone di libertà. Sì, piccoli esempi coraggiosi che incoraggiano ad essere creative/i. Sperimentiamo, sperimentiamoci, umilmente, con gioia e senza arroganza.

Che il fallimento sia il nostro insegnante, non il nostro censore.

Centinaia di volte è il “mestiere” a prevalere sul nostro lavoro. Esaminiamo le nostre piccole provette o i nostri enormi alambicchi per compiere progressi concreti nella ricerca di una migliore società umana. Perché è dal minuscolo al cosmico il lavoro nel quale dobbiamo impegnarci.

Come i poeti che sanno che si deve scrivere , a volte, un’ode al pomodoro o alla zuppa di anguille e a volte scrivere “Les Châtiments “ (“Castighi”) .

Salvare un erba medicinale in Amazzonia, garantire alle donne la libertà , l’eguaglianza, spesso la vita .

E soprattutto, soprattutto, dire alle/ai nostri figli che arrivano sulla terra che siamo all’inizio di una storia e non alla sua, disincantata, fine. Esse/i sono ancora ai primi capitoli della lunga e favolosa epopea di cui saranno non silenziose/i strumenti ma inevitabili autrici ed autori. È necessario che sappiano che, oh meraviglia, hanno mille opere da costruire , insieme alle e ai loro figli e alle e ai figli delle e dei loro figli.

Diciamolo con volta alta e forte perche molte/i fra di loro hanno capito il contrario ed io credo che questo le/li renda disperate/i.

Quale eredità è più ricca di quella che regala la gioia di sapere che la genesi non è ancora finita e soprattutto che appartiene a loro.

Che cosa aspettiamo allora? Il 2014? Eccolo.

PS: I poeti che cito sono , evidentemente, Pablo Neruda e Victor Hugo.



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