In questo libro si parla di donne. donne importanti, pensatrici che hanno impresso il loro sigillo a un intero secolo, riscoperte a posteriori nella loro unica genialità. Non che Hannah Arendt mancasse di qualche fama in vita, ma certamente nei decenni il suo pensiero ha acquisito uno spazio più ampio e fondamentale nella storia della filosofia. Non che Simone Weil mancasse di una originalità prepotente e assoluta nelle sue scelte esistenziali, ma oggi la sua pratica di condivisione sociale portata all’estremo e le sue scelte teoriche controverse e attualissime sono costantemente recuperate e studiate come materia preziosa. La terza donna che abita il bel libro di Nadia Fusini, Hannah e le altre, è meno nota, anzi quasi sconosciuta, Rachel Bespaloff, appartata e autodidatta.
Hanno in comune un tempo, gli anni della seconda guerra mondiale, la fuga dalle persecuzioni, la perdita e la volontà di emanciparsi, liberarsi dal vincolo che precludeva il sapere alle donne, e anche se i loro destini diversi si incrociano appena, convergono nella medesima speculazione filosofica sulla prevaricazione, la violenza, l’orrore della guerra e dell’ingiustizia. La loro attenzione non può esimersi dall’affondare nei meccanismi che generano l’oppressione e il male, perché lo subiscono e lo pagano personalmente. Non demordono mai, una cocciutaggine bisognosa di indagare e capire le porta a stare fuori dagli schemi, perché dagli schemi lo sono già come scrittrici, come donne. La lotta attraverso il pensiero e la pratica contro il potere che manifesta le sue lordure più atroci è ciò che le sostiene.
Ma l’unica che sopravvivrà allo scontro reale sarà Hannah, la meno outsider, la più inserita in ambito accademico. Le altre, Simone Weil e Rachel Bespaloff, umanamente ne usciranno tragicamente sconfitte. La prima muore giovane, provata da una febbrile vita di stenti e domande, dopo essere emigrata e poi rientrata coraggiosamente per portare a termine il suo compito. La seconda, emigrata e mai più rientrata in patria, affida al suicidio la sua disperazione profonda.
Fusini è una donna che parla di donne che parlano il mondo. Il libro è pervaso nei contenuti e nella narrazione da un’inconfondibile punto di vista femminile, sono occhi femminei quelli che osservano e quelli che sono osservati e davvero costituiscono un solco di diversità ineludibile nella riflessione filosofica. Perché colgono della Storia i nodi essenziali, indicano sentieri inusuali e tentano con pervicacia di minare il sistema violento e sanguinario che il maschile porta come unico esempio di confronto con la realtà umana.
Fusini, nelle prime pagine di Hannah e le altre, mette anche specularmente la sua voce in campo, e lo fa con il preciso scopo di ridarci la pregnanza di queste pensatrici e riflettere sulla barbarie del presente che sguazza nel sangue delle donne. Il nostro presente che discende da un secolo di guerre e stermini, dovrebbe aver incamerato, per avversione, la repulsione per il male inflitto arbitrariamente da una parte dell’umanità sull’altra che le è diversa e imprimere così il suo dominio. Oggi la necessità aberrante di imporre il dominio è perpetrata da un genere sull’altro. La lezione non è stata imparata. Perché il bisogno di dominare ancora non è stato dismesso dagli uomini, loro continuano a uccidere e comandare, e a usare l’odio come difesa di quel comando. Alle donne non appartiene questa tipo di follia, se non introiettata raramente come sparuto adeguamento a un modello culturale dominante.
Hannah e le altre ci dice questo, e fa leva sul pensare e sull’agire delle tre filosofe, che è stato laterale e originale in quanto femminile, ma ha focalizzato meglio di chiunque altro il cuore di tenebra delle relazioni umane e politiche. Davvero qui la parola outsider che Fusini usa per definire Hannah, Simon e Rachel ha una valenza pregnante e polivalente. Si potrebbe tradurre con reiette, non conformi, estranee, controcorrente. Certamente un’altra corrente etica le percorre, un’altra passione che non dimentica ma ingloba la vita.
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