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Il dolore

di Vera Q.
domenica 21 aprile 2013

Non mi spaventa la morte, mi è chiaro che sia soltanto una fase della vita. Attimo che, come tutti, gradirei procrastinare il più a lungo possibile. Tuttavia, nonostante la consapevolezza di dover intraprendere anche quella, di strada, cerco di sdrammatizzare ironizzando sul mio futuro da defunta. Questo mi rende, agli occhi di molti, un essere sordido da internare. Ma io sono una mattacchiona e riesco a trovare il lato comico anche nelle morti altrui, persino in quella di mio padre. Il divertente nel giorno del suo funerale è stato, però, solo merito suo: non avevo dubbi che avrebbe trovato il modo di farmi ridere come ha sempre fatto. Che ometto. Intanto, quella mattina, mi hanno notificato agghiacciati che il cuscino di fiori riportasse dei nomi a caso. E, quando dico a caso, intendo proprio a caso. Sono scoppiata a ridere tra lo sgomento dei presenti. Inoltre la data di nascita incisa sulla targa della bara era sbagliata. Purtroppo è stata sostituta al volo. Peccato… l’episodio nella sua tragicità aveva un che di fantozziano. Io l’avrei lasciata così. Ed infine, prima del trasporto, un solerte commesso comunale ha deciso che mio padre fosse portatore di pacemaker quindi non idoneo alla cremazione. Altra risata di pancia: mi aspettavo l’invasione aliena a coronare il momento. Una giornata assurda, un farmi impazzire scientificamente architettato da papà. Lo so bene che il tutto fosse opera sua: era un burlone e non si è smentito. Se aveste conosciuto mio padre non potreste che concordare con me. La funzione, poi, ha toccato picchi di lirismo unici. Il prete, un prete qualsiasi, non ho scelto io di subire la messa funebre, (rito che a mio parere serve soltanto a rinnovare il martirio e nulla più) durante l’omelia ha esplicitato ai presenti che la sofferenza è un dono. Nulla da eccepire, non stona certo con la fede cattolica. Però prete, non sono salita sul pulpito per prenderti a testate, e lasciarti in terra pieno di sangue, per rispetto verso mia madre. E poiché ho visto la vera tribolazione negli occhi di papà, per il futuro, moderati. Rischi di essere mesmerizzato di cazzotti. Non tutti hanno l’accortezza di uscire dalla chiesa senza pestarti. «Come sei forte, non piangi neppure…» «Come puoi ridere in questo momento?» Posso. Posso tutto. Il dolore è mio, e nessuno sa quanto sia terribile. Se rido, se non piango o se piango, se m’apparto con le mie sigarette, se in preda alla follia ballo la lambada al cimitero, sono tutti e solo affaracci miei. Le persone non capiscono che il tormento è qualcosa di intimo e che ciascuno lo sopporta come meglio riesce. Devi disperarti, strapparti i capelli, devi svenire, o meglio, devi urlare buttandoti a terra. Allora sì, allora sei davvero in preda all’afflizione. In tutti gli altri casi sei privo d’anima. Sarà, lo accetto, va benone. Però spegnete la televisione ogni tanto: vedere programmi dove il dolore è spettacolarizzato vi ha inebetiti totalmente.



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