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Storica sentenza della Cassazione sulla possibilità per le coppie gay di avere figlie/i

tratto dal quotidiano "La Stampa" dell’11 gennaio 2013
domenica 13 gennaio 2013

La Cassazione apre ai figli per i gay

Un minore può crescere in modo equilibrato anche in una famiglia gay. Né vi sono «certezze scientifiche o dati di esperienza» che provino il contrario. È il principio messo nero su bianco dalla prima sezione civile della Cassazione con una sentenza (....) che nel respingere il ricorso di un immigrato mussulmano, ha dato il via libera all’affido di un bambino a una coppia formata da due donne, stabilendo che «il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale» dà «per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosita’ di quel contesto famigliare».

L’uomo si era rivolto ai Supremi Giudici per contestare la decisione con la quale la Corte d’Appello di Brescia , il 26 luglio 2011, aveva affidato in via esclusiva il figlio minore alla sua ex compagna che era andata a vivere con una assistente sociale della comunità per tossicodipendenti in cui, anni prima, era andata a disintossicarsi. Secondo lui era dannoso che il minore fosse educato in un contesto omosessuale. Ma la Suprema Corte gli ha fatto presente che era stato proprio lui, con la sua condotta violenta nei confronti della compagna della sua ex, ad aver provocato una reazione di turbamento nel minore dal quale, per di più, si era allontanato quando il bimbo aveva appena 10 mesi «sottraendosi anche agli incontri protetti ed assumendo, quindi, un comportamento non improntato a volontà di recupero delle funzioni genitoriali e poco coerente con la stessa richiesta di affidamento condiviso e di frequentazione libera del bambino».

Ancora una volta dunque la a discussione sull’opportunità o meno che un figlio cresca in una coppia omosessuale non viene da un convegno o da un’importante ricerca di psicanalisti italiani, ma da una sentenza e da un tribunale.

E così agli psicanalisti tocca sempre più spesso commentare i criteri su cui hanno già deciso i giudici.

«Io mi chiederei prima che cosa vuol dire “certezza” e “dati di esperienza” su problemi di tipo psicologico», si chiede Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e autrice di fortunati libri sulla famiglia: «La famiglia imperfetta» e «La coppia imperfetta». «Da sempre la psicanalisi lavora sulla qualità e sulla profondità, non sulla quantità», spiega Migliarese. «Piuttosto bisognerebbe chiedersi: quali dati cercare? Direi quelli che indicano che cosa va nell’interesse del miglior bene del bambino e del suo sviluppo sereno. Su questo ci sono moltissimi studi ed esperienze». E che cosa è meglio per un figlio? «Fra i bisogni primari c’è l’amore, la cura, l’accudimento e questo può essere effettivamente dato sia dalla figura maschile sia da quella femminile, ma poi ha bisogno di essere accompagnato nella costruzione della propria identità». E siccome il bambino legge se stesso nell’adulto può mancargli il modello con cui identificarsi. «La negazione del valore della differenza sessuale - il corpo è un dato - provoca una gravissima interferenza nella costruzione dell’identità». Che magari non si vede nell’infanzia, ma esplode con la pubertà e la preadolescenza.

La collega Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dell’età evolutiva alla Sapienza di Roma, è più possibilista. «Pragmatica, direi, nel senso che andrei a vedere caso per caso che cosa è meglio per il minore, e nel caso particolare di questa sentenza direi che si è fatta la scelta giusta». Ma la docente non nega che «se a quattro anni un bambino scopre di avere due mamme o due papà» questo non sia un «problema». Lo è. «Bisogna avere la sensibilità di seguire figli nei vari passaggi; è un po’ come per i bambini adottati, a un certo punto vogliono sapere la verità». Ma la società, per la professoressa, non è ancora pronta. Né all’interno della famiglia, né all’esterno. «Non si può negare che è una complicazione in più, che però si può fronteggiare se la società esterna mette da parte pregiudizi e razzismi, e se all’interno i genitori omosessuali evitano a loro volta di chiudersi nella difesa ideologica». La conclusione? «Non è una questione affettiva, ma conoscitiva, di capire come il figlio vive la situazione della sua famiglia e, se vi cerca un modello maschile o femminile che non trova, dargli la possibilità di aprire a familiari e amici di altro sesso».

Il dibattito - che all’estero è più vivo, specie in Usa dove il fenomeno è meno recente - si innesta su quello lanciato da Galli Della Loggia sul «Corriere» a fine anno, quando commentando il documento del Gran Rabbino di Francia su «Matrimonio omosessuale, omoparentalità e adozione», aveva invitato gli psicanalisti a sfidare il «conformismo» delle idee dominanti sul tema (in gran parte «pro» sentenze come questa). Fulvio Scaparro e Silvia Vegetti Finzi hanno risposto. Se ne stanno aggiungendo altri. «In effetti», conferma la neuropsichiatra Migliarese, «più che contrapposizione, da noi c’è silenzio».



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