La trattativa in corso fra governo e parti sociali sul mercato del lavoro non sta “semplicemente” ridisegnandone la struttura ma ripropone in tutta la sua materialità la questione del modello di relazioni sociali nei luoghi di lavoro e più in generale nella società.
In questo quadro l’insistenza sulla necessità della cancellazione dell’articolo 18 fa riferimento, a mio avviso, proprio a questo modello. Stabilito che l’articolo 18 non impedisce i licenziamenti , purchè motivati, e appurato che tale articolo riguarda ormai solo un settore del mondo del lavoro , vista la pervasività del processo di precarizzazione pagato soprattutto dalle giovani generazioni e dal genere femminile, resta da capire perché esso venga presentato come la causa di tutti i mali e addirittura come l’elemento che impedisce la ripresa del Paese.
Avanzo un’ipotesi.
Per darsi un’identità, un modello, un articolazione il più possibili condivisi la società produce ciò che alcune/i studiose/i chiamano immaginario collettivo. Questi significati immaginari sono spesso la base della costruzione dei modelli culturali che influiscono, in modo molto concreto, sulla vita di ciascuna/o, sui nostri comportamenti, sulle nostre scelte. Significati immaginari e modelli culturali originano spesso, quasi sempre direi, dal tipo di relazioni sociali dominanti .
Relazioni sociali che a loro volta rimandano a precisi rapporti di potere. Io credo dunque che quello cui si mira prevedendo la cancellazione dell’articolo 18 abbia molto a che vedere con la volontà, sempre più esplicita, di riaffermare l’egemonia di un genere e di una classe.
Porto due esempi.
Trovo sconfortante che ritorni di nuovo il solito “refrain” sulla necessità di aumentare l’occupazione femminile (l’Italia com’è noto è fanalino di coda in Europa) perché si sa bene che in mancanza di un adeguato sistema pubblico di servizi (per il quale al contrario sono stati previsti tagli notevoli) le donne non possono entrare nel mondo del lavoro se non in maniera precaria e discontinua essendo costrette a svolgere, gratuitamente, quei lavori di riproduzione domestica e sociale che gravano ancora, quasi completamente, sullo loro spalle. Lavori riproduttivi che grazie ai tagli aumenteranno esponenzialmente costringendo le donne a scelte difficili.
Noto con preoccupazione l’affermarsi sempre più preponente del cosiddetto “modello FIAT” secondo il quale, in cambio del posto di lavoro (peraltro mai garantito davvero) si chiede la rinuncia a diritti fondamentali che riguardano anche la salute delle lavoratrici e dei lavoratori.
Ecco perché , a mio avviso, l’articolo 18 non rappresenta affatto un obsoleto attrezzo del passato ma, al contrario, ci interroga sul tipo di futuro che stiamo costruendo.
Per quanto mi riguarda sto dalla sua parte, senza se e senza ma.
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