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"Soggettività e laicità. Le donne protagoniste dello spazio pubblico”

Spunti di riflessione a cura di IFE Italia
venerdì 16 dicembre 2011

Premessa

Abbiamo desiderato promuovere un incontro sulla laicità per confrontare le nostre riflessioni, aumentare le nostre conoscenze, sviluppare iniziativa politica su uno dei temi che caratterizza la nostra iniziativa femminista.

Siamo riuscite a realizzarlo grazie alla disponibilità del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università Bicocca di Milano, in particolare di ABCD (centro interdipartimentale per lo studio dei problemi di genere ) e del CPO (Comitato Pari Opportunità). Un grazie sincero per questa disponibilità va soprattutto alla Prof. Carmen Leccardi.

E’ la terza esperienza di collaborazione con il mondo accademico di IFE Italia. La prima consentì, nell’aprile 2010, la realizzazione di una giornata di studio su “Differenti ma non diseguali. Lavoro delle donne welfare,diritti” presso l’Università di Bergamo, la seconda ci permise di entrare in relazione con due filosofe dell’Università di Verona, Chiara Zamboni e Wanda Tomasi, esponenti della comunità filosofica di “Diotima”, e di realizzare, nel maggio 2011, a Lodi un’iniziativa sull’intreccio fra il principio di laicità e i modelli di famiglia dal titolo “Di che famiglia sei?”. Il convegno del 17 novembre 2011 alla Bicocca di Milano. “Soggettività e laicità. Le donne protagoniste dello spazio pubblico” , è stata la terza esperienza.

Emancipazione, eguaglianza, liberazione, laicità

Come IFE stiamo ragionando da lungo tempo, in Europa e non solo, sulla laicità perché siamo convinte che il principio di laicità non riguarda unicamente la separazione, necessaria ed auspicabile, fra la politica e la religione o se si preferisce fra i poteri statali e quelli religiosi ma chiama in causa prepotentemente la questione dell’emancipazione femminile cioè il diritto delle donne all’eguaglianza. Per questo affermiamo che se il principio di laicità non viene considerato una priorità politica si rischia di andare incontro ad una regressione generale dei diritti, non solo quelli che riguardano le donne. Crediamo che non sia necessario fare troppi sforzi per rendersi conto che tale regressione è in corso da lungo tempo ed in modo sempre più significativo.

Per evitare fraintendimenti è meglio precisare che intendiamo l’ “eguaglianza” non semplicemente come una norma da porre nell’orizzonte delle pur necessarie “pari opportunità” ma pensiamo ad un principio in grado di divenire organizzatore di pensiero, di politica ed anche di conflitto. L’eguaglianza, se sostanziale, come suggeriscono le filosofe francesi Nicole Edith Thevenin e Genevieve Fraisse, non può tradursi nella semplice “richiesta di essere eguali” è invece una sfida, in primo luogo a sé stesse. Chi vive una situazione di ineguaglianza non può aspirare a voler essere uguale a chi si ritiene superiore o “più potente” , al contrario il voler “essere eguale” presuppone un processo, individuale e collettivo, per sovvertire le strutture, personali e sociali, che hanno determinato l’ineguaglianza e costruito sistemi di potere escludenti e asimmetrici.

Il principio di eguaglianza rimanda dunque, necessariamente, ad un processo di liberazione individuale e collettiva senza il quale si svuota di significato la democrazia stessa e si spegne inesorabilmente la dimensione pubblica del nostro essere e del nostro agire. Ciò che è avvenuto negli ultimi trenta’anni (sul piano sociale, economico, politico, culturale) sta lì a dimostrarlo. Dentro la regressione dei diritti, l’affermazione acritica delle differenze ( o peggio l’ideologizzazione del differenzialismo) e quindi nello svuotamento della democrazia si è enfatizzato , ad ogni livello il privato che, svuotato della dimensione conflittuale che seppe assumere negli anni ’70 grazie alla rivoluzionaria intuizione del movimento delle donne (“il personale è politico”), non ha generato che solitudine, frammentazione, esclusione, chiusura., paure. Terreni fertili per la riproposizione di un ’”ordine simbolico” di natura patriarcale che tende a riaffermare i più “tradizionali” stereotipi femminili ed a rimettere in discussione la distinzione fra sfera politica e sfera religiosa consentendo, spesso sollecitando, sul piano giuridico normativo o politico l’intervento delle gerarchie religiose. A tutto danno del principio di laicità.

A questo proposito : • Marilisa D’amico (ordinario di Ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano e Presidente della Commissione Affari Istituzionali del Comune di Milano) ha ricordato l’iter e i contenuti della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita oggetto di un’insopportabile intromissione delle gerarchie vaticane secondo le quale va poste un limite “morale” al progresso scientifico. • Soad Baba Aissa (coordinatrice europea del gruppo di lavoro di IFE sulla laicità ) ha sottolineato che l’Europa non è stata costruita sul principio di laicità, tanto che l’articolo 16 c del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ( inserito nel Trattato di Lisbona) riconosce alle gerarchie religiose una posizione privilegiata impegnandosi a mantenere con esse un dialogo costante. • Nina Sankari (presidente di IFE Polonia e co-fondatrice dell’Internazionale del Libero Pensiero) ha invitato a considerare che che in Libia il primo atto del governo rivoluzionario laico é stato d’instaurare la sharia e in Tunisia, dove fino a poco tempo fa, le donne hanno beneficiato dei diritti piu’ evoluti nel mondo arabo, le forze politiche islamiste hanno vinto le elezioni. Invitando dunque a sostenere le forze realmente democratiche per evitare che la “primavera araba”, che ha spazzato via dittature liberticide per provare a tradurre l’aspirazione dei popoli alla libertà, si trasformi in un autunno dei diritti delle donne.

Il Principio di laicità

La relazione di Nina Sankari e l’intervento nella tavola rotonda pomeridiana di Walter Previtera (professore associato al Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università Bicocca) hanno messo in evidenza i differenti modelli di laicità ( entrambi hanno analizzato quello francese ed anglosassone, Sankari ha parlato anche di quello turco , svedese , dei paesi detti comunisti e post comunisti). Nina Sankari ha altresì evidenziato l’etimologia del termine laicità e la storia del concetto di laicità. Per evitare di fare sintesi inappropriate si rimanda alle relazioni che verranno raccolte in un opuscolo. Quel che interessa alle nostre riflessioni sono alcune domande di fondo sollecitate dalle relazioni : • supponendo che il principio di laicità protegga da abusi di potere di una parte o di un’altra si può affermare che sia così nella realtà e non solo potenzialmente? Cioè la laicità è un ideale o un modello che può funzionare efficacemente? In Europa, dove pure la laicità è parte costitutiva degli ordinamenti giuridici degli stati membri, si assiste ad un ritorno di fondamentalismo unito a processi di clericalizzazione, in particolare all’est. Non sarebbe dunque il caso di porsi il problema di quali siano i fattori che limitano l’efficacia dei modelli laici ? E se tali fattori siano esterni o intrinseci al principio stesso di laicità ? In altri termini si domanda provocatoriamente Sankari, l’attuale debolezza della laicità dipende dalle modalità di applicazione dei suoi principi o c’è qualche errore di fondo nel principio stesso di laicità ? • considerare i bisogni di spiritualità, di morale e di etica come bisogni che appartengono a tutte le donne e a tutti gli uomini indipendentemente dal fatto di essere credenti o religiose/i evitando di delegare alle gerarchie religiose le risposte a tali bisogni potrebbe rafforzare il principio di laicità? • La politica aiuta o limita l’applicazione del principio di laicità? In altre termini considerare la laicità una soluzione politica inserisce tale principio nelle dinamiche legate ai rapporti di forza trasformando la laicità stessa in un oggetto di negoziazione politica , può produrre manipolazione, condizionamento, negazione del principio stesso? La spada di Damocle che costantemente grava su alcune leggi di civiltà quali, in Italia per esempio, quelle in materia di diritti civili e di autodeterminazione può essere considerata un esempio in tal senso? • E’ possibile impegnarsi per l’affermazione del principio di laicità senza rimettere in discussioni alla radice i sistemi di potere che governano il mondo?

Il multiculturalismo acritico

Proprio a partire dalle domande relative alla politica, Nina Sankari e, in modo particolare Soad Baba Aissa hanno messo in luce i rischi degli approcci multiculturalisti che caratterizzano soprattutto la “sinistra post modernista” (usando le parole di Sankari) e che rischiano di approdare ad un pericoloso relativismo culturale. Un simile approccio, in particolare nei confronti dell’islam, rischia di considerare gli islamici solo come “i poveri oppressi” e di non vedere, o non voler vedere, la violenza misogina che si nasconde, per esempio, non solo dietro all’imposizione del burqua ma anche del velo. Oppure rischia di guardare alla poligamia con indulgenza se non con comprensione. Baba Aissa mette in guarda dai tre atteggiamenti che consentono all’islam politico di diffondersi e di radicarsi : • la colpevolizzazione : il fondamentalismo islamico ha interesse a diffondere l’immagine delle persone immigrate come vittime di discriminazione ed esclusione sociale. Da questo punto di vista le politiche delle destre variamente rappresentate che negano piena cittadinanza alle donne e agli uomini europei di origine immigrata aiutano i fondamentalisti perché consentono di alimentare questo stereotipo e questo immaginario; • la breccia democratica : utilizzando strumentalmente i principi democratici si tenta di far passare per universali valori e precetti che invece provengono da una ben precisa dottrina religiosa. E che sono orientati alla costruzione di un comunitarismo identitario ed escludente fondato sulla superiorità del genere maschile assunta come assioma; • il sostegno degli “utili idioti”: essenzialmente i cosiddeti “islamisti di sinistra” che per calcolo politico o per gusto “naif” stanno aprendo un’autostrada alla diffusione dell’Islam politico in Europa. Da una parte dunque il razzismo delle destre che accentua strumentalmente le violenze dell’islam contro le donne ( crimini d’onore, matrimoni forzati, uccisioni) e dall’altra , per reazione, la tendenza a considerare positiva qualsiasi differenza culturale arrivando a sostenere che per le donne portare il velo deve essere considerato un diritto! In nome dunque del rispetto delle culture e seguendo il principio che il “nemico del mio nemico è mio amico” non ci si accorge di recare danno al diritto delle donne all’autodeterminazione.

La ricerca di spazi pubblici di confronto e di dialogo fra donne come applicazione concreta del principio di laicità

La relazione di Silvia Dradi ( del Direttivo di Ife Italia e coordinatrice di cooperative sociali), ha ragionato sul lavoro di incontro e di dialogo con alcune donne musulmane a Bergamo che IFE ha da poco iniziato. Un lavoro nato dalla volontà di sottrarsi ai luoghi comuni e agli stereotipi per accettare la sfida di camminare insieme per l’autodeterminazione di tutte, cercando la contaminazione e nel contempo non nascondendo i conflitti. Un lavoro che ha consentito di individuare alcune questioni di fondo che interrogano anche noi, femministe occidentali, sul senso e sull’efficacia del nostro agire politico. Per esempio, ci si è chieste, • qual è il modello credibile e autorevole (in termini di dignità, coscienza, partecipazione, autodeterminazione) di donna laica che possiamo proporre? • Su quali obiettivi ci possiamo incontrare con le donne musulmane? Quale spazio noi donne laiche siamo disposte a dare a queste alterità ? • Come rispettare le differenze culturali e rendere possibile la convivenza di valori e pratiche differenti senza che questo implichi una tolleranza passiva e senza chiudere gli occhi di fronte a pratiche che ledono i diritti delle donne che per noi sono diritti umani fondamentali? • Come far diventare la laicità un impegno comune in grado di aprire contraddizioni e promuovere positivi conflitti?

Domande impegnative che ci stimolano a continuare il nostro lavoro.

La laicità e diritti universali delle donne : un’alleanza necessaria

Tutti gli interventi hanno messo in luce che esiste un rapporto proporzionale inverso tra lo spazio che la religione occupa nella società e i diritti delle donne. Nelle teocrazie dove il potere di stato e potere religioso sono inscindibili (Iran, Arabia Saudita) le donne non sono non godono della piena cittadinanza (essendo private del diritto di voto) ma non sono considerate portatrici di diritto in ambito famigliare, sociale o professionale. Attualmente il modello teocratico é presente unicamente nei paesi mussulmani. Nel modello multi-confessionale adottato dal Libano le donne beneficiano di statuti giuridici differenti secondo la confessione, con un grado di sudditanza delle donne mussulmane molto più elevato in rapporto alle donne cristiane, basti citare per esempio la poligamia, il ripudio, ecc) Nei paese laici (Francia, Svezia) i diritti delle donne hanno miglior vita.

Bisogna tuttavia notare , come già accennato, che l’applicazione di un modello formale non basta . Ci sono dei paesi con una religione di stato come la Norvegia dove le donne beneficiano pienamente dei loro diritti ed altri come per esempio la Polonia, dove malgrado l’autonomia reciproca della chiesa e dello stato le donne sono state private dei loro diritti riproduttivi e sessuali (l’ IVG è proibita , il diritto alla contraccezione di difficile accesso, l’educazione sessuale quasi inesistente).

E’ chiaro che meno le religioni esercitano la loro pressione sulla società, piu’ c’è spazio per i diritti delle donne. Impegnarsi per la laicità insieme, indissolubilmente, all’impegno per la democrazia e per l’emancipazione dell’umanità.

Quindi la scelta di stare dalle parte del principio di laicità è per le donne una scelta obbligata. Consapevoli però che l’efficacia di tale principio non è garantita da un’applicazione formale ma non può che dipendere da un impegno costante e collettivo delle donne per affermare l’universalità dei loro diritti.

E che come ci ricorda Silvia Dradi l’impegno collettivo per essere reale ed efficace non può che nascere dalla capacità delle donne di costruire relazioni, individuare spazi comuni, condividere orizzonti e pratiche.

Come IFE stiamo camminando su questo sentiero.


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9 ottobre 201210:18, di AimeesuimoAimeesuimo
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