Tempo fa ho letto un bel libro sui cambiamenti climatici nel quale si spiegava in maniera approfondita che in un futuro non remoto dovremmo abituarci a convivere con fenomeni atmosferici cui non siamo affatto abituate/i. Fenomeni che possono essere previsti, per quantità e qualità, sono in misura ridotta perché , per la prima volta nella storia del pianeta terra, le modificazioni in atto non sono il frutto di processi naturali ( la terra è un pianeta che vive e come tale in continua trasformazione) ma dovuti essenzialmente all’attività umana. Un’attività non certo ecologica. Purtroppo quel futuro che il libro preconizzava non solo non è remoto ma addirittura, anche in Italia, pare essere già cominciato. In pochissimo tempo abbiamo assistito a eventi drammatici soprattutto per le morti che hanno provocato : esondazioni, smottamenti, valanghe. Eventi che sono la somma perversa di numerosi fattori: cambiamenti climatici dovuti all’inquinamento atmosferico, sviluppo urbanistico non rispettoso della morfologia del territorio, assenza di manutenzione e controllo dell’ambiente, incuria dei comportamenti pubblici e privati. I drammatici eventi di Genova confermano i presagi di cui parlavo all’inizio e, se possibile, dimostrano che ogni volta può essere peggio di prima. Ho letto numerosi commenti sui fatti genovesi ed ho sentito alcune care amiche che vivono in quella città. Più di una voce ha messo in luce un aspetto che condivido pienamente e cioè il fatto che insieme a responsabilità “pubbliche” (riferibili a tutte le istituzioni che dovrebbero tutelate, curare, proteggere la qualità della vità di una comunità ) vi siano anche responsabilità “private” che riguardano i comportamenti di ciascuna e ciascuno di noi. Spesso reagiamo agli inviti alla prudenza e al rispetto delle regole con fastidio, ironia o addirittura sprezzo del pericolo ( ricordo chi in una New York in attesa di un possibile uragano, giocava goliardicamente a hokey nelle strade, per fortuna, semideserte). Forse è il caso di prendere coscienza che siamo seduti su “bombe ambientali” create dal desiderio perverso di continuo e costante profitto ed arricchimento. “Quando l’ultimo albero sarà abbattutto e l’ultimo fiume avvelenato ci accorgeremo che i soldi non si possono mangiare” recitava un antico proverbio pellerossa. Genova, quindi, potrebbe indurci a riflettere sulla necessità di prepararci al peggio, senza catastrofismi ma nemmeno senza incoscienza, e soprattutto di considerare il pianeta su cui viviamo un bene comune di cui prendersi cura. Per poter fare questo però dobbiamo smetterla di mitizzare “il privato” o di accettare , che tutto venga “privatizzato” perché è solo nella dimensione “pubblica” (nel significato di partecipazione individuale cosciente e responsabile alla “cosa pubblica”) che ciascuna e ciascuno di noi può ritrovare la propria “terrestre” umanità.
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