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"Grandissima coalizione” – una nuova stabilità tedesca?

di Paola Giaculli
domenica 30 ottobre 2011

Berlino, 27 ottobre -"Il voto al Bundestag di mercoledi segna l’inizio di una große Koalition informale", si legge nell’editoriale della Süddeutsche Zeitung, uno dei quotidiani più autorevoli tedeschi. Dopo il rifiuto della settimana scorsa di sottoporre l’ampliamento del fondo salva stati al giudizio dell’aula parlamentare del Bundestag di Berlino, la cancelliera Merkel "cede alle critiche dell’opposizione e dell’opinione pubblica" e fa votare il parlamento. Questo è anche il giudizio di Frank-Walter Steinmeier, capogruppo Spd al Bundestag che con aria trionfale dichiara alla stampa che Merkel "si è arresa facendo proprie le nostre tesi". In realtà, c’è ben più della semplice verifica parlamentare sulle decisioni da prendere in seno alla Ue, a cui si voleva comunque sottrarre Merkel, che invece anche la Corte costituzionale ha sollecitato a più riprese in passato. L’altro fatto nuovo, di natura squisitamente politica, e non puramente giuridico-istituzionale, è una risoluzione comune di tutti i gruppi parlamentari, fatta eccezione della Linke, sul fondo salva stati/euro. Si può parlare di una specie di größere Koalition (Süddeutsche Zeitung), un più grande governo Cdu-Spd allargato ai Verdi, forse traducibile nel linguaggio nostrano con le dovute differenze e cautele del caso, in governo di unità nazionale, vista "l’emergenza" europea a cui Merkel non potrebbe più far fronte – secondo la Spd - vista la riluttanza di alcuni dei suoi alleati, sia tra le sue file, che tra i liberali e nel partito fratello bavarese, la Csu, di “far pagare i contribuenti tedeschi gli sprechi della Grecia” e di altri paesi indebitati. La Spd ha buon gioco nell’accorrere in aiuto al governo, “un atto, a suo dire, di piena responsabilità in nome della salvezza dell’Europa”, dimostrandosi un partner su cui si può contare. Come lo era in passato, ai tempi della große Koalition, quella "vera", in carica dal 2005 al 2009, artefice tra l’altro dell’introduzione nel testo costituzionale della norma di pareggio di bilancio (Schuldenbremse) e del salvataggio delle banche nel 2008, in seguito alla crisi Usa, con protagonisti Merkel e Peer Steinbrück, l’allora ministro delle finanze Spd, che torna alla ribalta, proprio in questi giorni, facendosi lanciare candidato alla cancelleria da uno sponsor d’eccezione, l’ex cancelliere Helmut Schmidt. Steinbrück ha tra l’altro, di recente, ammesso che la Spd all’era del governo di Schröder, con la deregulation dei mercati finanziari, “si era piegata forse eccessivamente allo spirito del tempo”. La Spd (con i Verdi) si vanta di aver fatto inserire nel testo di risoluzione comune la tassazione delle transazioni finanziarie - in realtà solo un’esortazione a prendere una decisione ad hoc in seno alla Ue subito dopo il G20 di inizio novembre. D’altra parte la Spd aderisce al principio Merkel sul divieto per la Bce di ulteriori acquisti di titoli di stato di paesi in affanno e sul suo ruolo indipendente, in ottemperanza alla “cultura della stabilità”, ormai quasi un culto, che del resto coltiva ormai da tempo anche la Spd. Infatti la cancelliera nella sua dichiarazione al Bundestag di mercoledi lo brandisce come una spada, ricordando le sanzioni previste dai nuovi accordi per gli stati colpevoli di essersi indebitati, che Merkel vorrebbe esigibili anche con ricorso alla Corte di Giustizia europea. Spd e Verdi attaccano l’inettitudine e l’incapacità del governo nella gestione della crisi, le menzogne, le ritrattazioni, il populismo nei confronti della Grecia, recitando perfettamente il ruolo dell’opposizione che, ciononostante “non si sottrae alle proprie responsabilità” per non mettere a rischio il progetto europeo. “Oggi non si vota sulle sorti di un governo ma su quelle dell’Europa”. Steinmeier rincara la dose parlando di “legge Merkel”, ciò che viene categoricamente escluso all’inizio finisce per essere sicuramente adottato. Conclude il suo intervento affermando che le lacerazioni in seno al governo tedesco sono un’ipoteca per l’Europa, ma l’Europa non può fallire per questo governo. Alla fine si scopre che sarebbero bastati anche i voti della maggioranza (almeno 311). Il Bundestag delibera la risoluzione comune con 503 voti su 596 presenti, solo 4 le astensioni, i contrari 89, cioè i voti della Linke più quelli di qualche raro contestatore tra governo, Spd e Verdi. Merkel parte così per Bruxelles con un forte mandato parlamentare presentando l’opzione della “leva”, contenuta nel testo votato, che dovrebbe rafforzare il fondo salva stati per arginare il contagio della crisi, innalzando i crediti già messi a disposizione dagli stati membri (440 miliardi, che non basterebbero a salvare eventualmente Italia e Spagna), con l’eventuale soccorso di investitori privati e la partecipazione del fondo limitata al 20 percento. Le condizioni di quadro sono ristrutturazione del debito, ossia un taglio almeno del 50 percento, ricapitalizzazione delle banche, e ritorno al ruolo originario della Bce. Un’operazione, questa, a detta della cancelliera, non priva di rischi, pur tuttavia “accettabili per la Germania”. Il significato dell’operazione potrebbe avere conseguenze politiche almeno di medio termine, e le prossime elezioni parlamentari si terranno esattamente tra due anni, nel 2013. Al momento nei sondaggi la Cdu non va al di là del 30-31 percento, i suoi alleati di governo della Fdp sono abbastanza stabili al 3 e quindi in teoria fuori dal Parlamento, la Spd oscilla tra il 26 e il 28, trend in calo invece per i Verdi con il 16, mentre la Linke si riprende con l’8 percento dopo ripetuti sondaggi al 6 (nel 2009 aveva ottenuto l’11,9 percento). La novità sorprendente restano i Pirati, che dopo il loro exploit alle elezioni di Berlino con l’8,9, raggiungono addirittura nei sondaggi nazionali il 10 percento, incontrando la simpatia di quanti “non hanno più fiducia nei partiti tradizionali e vogliono manifestare così la loro protesta” (39 percento degli intervistati), “si augurano una ventata di aria nuova in politica” (27 percento). Per un 12 percento di chi li appoggia, i Pirati sono aperti, onesti e non corrotti”. Intanto il movimento “Occupy” locale ha deciso di non smobilitare e oltre al 15 ottobre ha svolto nei giorni successivi iniziative spontanee come le tende davanti alla Bce di Francoforte, i presidi davanti alla sede del Bundestag, e altre manifestazioni lo scorso finesettimana. Le dimensioni della partecipazione sono modeste in confronto ad altri paesi, (10.000 a Berlino e 6.000 a Francoforte il 15 ottobre), in parte dovute al decentramento delle iniziative in parte alle difficoltà culturali di mobilitazione, ma è comunque significativo che si siano già annunciate proteste anche per le prossime settimane. Si spera che possa ripetersi un fenomeno come quello delle proteste del 2004 contro il forte ridimensionamento dello stato sociale ad opera del governo rosso-verde guidato da Schröder (Agenda 2010). Se Merkel ha perso nei fatti la propria maggioranza, i sondaggi non danno per scontata una maggioranza rosso-verde. Del resto l’alleanza cosiddetta “ideale” tra Spd e Verdi non pare essere nemmeno così ambita dai due partners di un tempo, in particolare dopo la rottura del sindaco Spd di Berlino e la preferenza data alla Cdu come alleata di governo. Pare profilarsi, quindi, una propensione sempre più frequente al governo della große Koalition, piuttosto che a un’alleanza di sinistra Spd-Verdi-Linke, anche laddove esistano i “numeri”, come nel caso di Berlino. Qui i Verdi appaiono del resto avere le loro responsabilità in questo sviluppo, date le pesanti aperture della capogruppo verde Renate Künast nei confronti della Cdu nella campagna elettorale di Berlino, una delle cause del mancato trionfo e degli attuali forti contrasti nel gruppo parlamentare di Berlino, dove non sembra del tutto esclusa una spaccatura nel partito. L’ala di sinistra, presente al 40 percento nel gruppo di Berlino, si sente sottorappresentata nella dirigenza e la mette sottoaccusa per le scelte adottate in campagna elettorale e il travaso di voti ai Pirati. La Linke, d’altra parte, è uscita rafforzata nel corpo del partito dal suo recente congresso di programma svoltosi a Erfurt tra il 21 e il 23 ottobre. Si è riusciti a raggiungere un consenso quasi unanime (96,9 percento), risultato non scontato, e anzi inaspettato, per i contrasti tra le varie anime del partito, su un testo di programma “fondamentale”, che oltre ad enunciare in un preambolo i principi di base della Linke, ha l’ambizione di guardare alla storia – materia di non facile analisi specie in Germania – e dare allo stesso tempo una prospettiva per il “cambiamento di sistema”. Se il programma, definito addirittura da un esponente dell’ala cosiddetta “riformatrice”, “radicale e sensato”, unisce, d’altro canto non si placano le polemiche personali che nei media oscurano la politica vera e propria. Tanto che la domanda ricorrente è: “Se nella crisi attuale la sinistra dimostra di aver ragione, come affermano anche autorevoli opinionisti conservatori, perché la Linke non riesce a capitalizzare?” Il quesito non è di facile soluzione, ma una delle ragioni sembra risiedere nel fatto che anche la Linke, agli occhi dell’elettorato, anche in Germania ormai deluso dalla politica di “establishment”, è un’istituzione ormai “vecchia” - anche se di fatto fondata solo nel 2007 - appartenente al sistema partitico ormai discreditato anche qui. Le polemiche personali che si sono succedute in seguito alle critiche dell’incapacità dell’attuale dirigenza, al di là del merito specifico, non aiutano certo a dare un’immagine nuova della politica. Insomma mentre molti si appropriano di cavalli di battaglia della sinistra e della Linke, come patrimoniale, tobin tax, socializzazione delle perdite e privatizzazione di profitti, nazionalizzazione di banche, addirittura ridistribuzione, il partito non pare giocare un ruolo propriamente strategico. È stato, in questi anni,certamente l’unico interlocutore per le domande di giustizia sociale e di pace, e in grado di portare il paese a guardare a sinistra. Constatare, però, che la Spd, almeno negli enunciati, si sposta a sinistra grazie alla Linke non sembra essere determinante, se poi su una “piazza” importante come quella di Berlino, la Spd guarda invece alla Cdu, invece di fungere da trait d’union con Linke e Verdi. Le trattative qui sono ancora in corso, ma le prime voci sui possibili accordi già abbastanza inquietanti: in tema di sicurezza il fermo preventivo dovrebbe passare da due giorni a quattro, anche per i quattordicenni. Si parla di una possibile reintroduzione della religione come materia scolastica dopo che un referendum popolare, indetto da un’associazione vicina alla Cdu, aveva ribadito due anni fa la propria contrarietà all’assunto. Uno dei primi atti certi del “grande governo” di Spd e Cdu è l’abolizione del finanziamento per l’assunzione di disoccupati di lunga durata in lavori socialmente utili in vari settori, fiore all’occhiello della Linke, in coalizione con la Spd nella precedente amministrazione. Quelle assunzioni saranno riportate nel quadro di lavori saltuari a salario ridotto. Un arretramento considerevole se si pensa che la disoccupazione a Berlino è a un tasso tra i più elevati in Germania (13 percento) e ben un quinto della popolazione vive di sussidio sociale.

“ll mondo guarda alla Germania” ha detto la cancelliera mercoledi al Bundestag, il giorno della “grandissima coalizione”, da cui è uscita quasi senza opposizione – e questa è l’immagine di compattezza che la Germania offre al mondo. In Europa il baricentro si sposta e “l’Europa si fa tedesca”, titola il settimanale Stern, E se rimane una speranza di alternativa al “diktat merkeliano” (Stern), al dogma della stabilità, essa può probabilmente riaccendersi solo qui, sciogliendo il nocciolo duro dell’Europa che qui risiede, e per far rinascere, a partire da qui, un’Europa sociale e democratica. Ma per ora purtroppo quel momento non sembra ancora essere vicino.



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