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Ritagli

di Valentina Genta
sabato 30 luglio 2011

Molte hanno scritto a proposito dell’incontro di SNOQ del 9 e 10 luglio a Siena, alcune nei loro spazi sul web, altre su riviste online e non, c’è stata chi si è espressa rispondendo e commentando sui molti blog, cito ad esempio quello di Lorella Zanardo (www.ilcorpodelledonne.net) perché partendo da un OT - il post in questione era dedicato ad un altro argomento, non a Siena - si è accesa una grande discussione a cui molte hanno contribuito. Il comitato genovese di SNOQ, che ha partecipato all’incontro nazionale portando le proposte che qui erano state discusse, ha prodotto e diffuso un “report”, così come d’abitudine al termine di un evento/convegno/dibattito, quel che vogliamo. Io ho partecipato alle giornate di Siena “inviata” dalla rivista femminista Marea di cui faccio parte, avendo contribuito all’organizzazione dell’incontro internazionale Punto G 2011, tenutosi a Genova il 25 e 26 giugno scorsi in occasione del decennale del primo Punto G del 2001, non come aderente ad un comitato SNOQ quindi. Vorrei provare a dire cosa ha significato per me partecipare ad una due giorni che penso vada chiamata - il termine è stato pronunciato dal palco almeno una volta ed è risuonato parecchio tra il pubblico - evento. Evento perché a mio avviso lo spazio dedicato all’incontro e al confronto, come spesso accade, è stato quello più defilato, meno in prima pagina, meno illuminato, quello “giù dal palco”. Ho scelto di iscrivermi per proporre un intervento e condividerlo con chi sedeva in quella piazza. Mi è stata data la possibilità di parlare e ho restituito la domenica sera stessa una volta a casa l’intervento trascritto: non mi ero segnata che alcuni punti che volevo toccare nei tre minuti che ciascuna parlante ha avuto a disposizione per cui è stato poi necessario provare a trascrivere in “bella copia”. Ho pensato piuttosto a lungo perché scrivere ancora qualcosa a proposito di quei giorni, quando tante di coloro che hanno partecipato già hanno scritto report, commenti, poesie, etc. Se da una parte l’esigenza è puramente espressiva dall’altra ha un intento critico che sento piuttosto urgente, tanto da provare ora a fare il “mio” punto. Chi organizza un evento e ne ha o se ne attribuisce la maternità, solitamente poi raccoglie materiali e crea resoconti; chi partecipa ad un evento può legittimante raccontare il proprio punto di vista. Eccolo: Non ero ancora entrata nel bellissimo spazio teatro dell’evento che una ragazza venendomi incontro mi ha avvisata del fatto che “visto che tu sei di Punto G” le ragazze di SNOQ di Siena volevano dirmi che era stato allestito un corner “Punto G” in cui la G stava per “Gridalo qui”. Obiettivo dello spazio era quello di permettere a chi ne avesse avuto voglia e desiderio di lasciare le proprie testimonianze audio/video/cartacee etc. E che insomma, visto che “l’abbiamo inventato noi”... Ecco. Quindi il logo di Se non ora quando? è stato opportunamente registrato così si evitano spiacevoli inconvenienti ma per il corner perché spremersi le meningi e inventare qualcosa di nuovo visto che dieci anni fa si pensò - e ci si guardò ben dal registrarlo - Punto G per l’incontro di Genova? Perché la coerenza non è un valore, evidentemente. La stessa impressione, di “mancanza” l’ho avuta nel prosieguo, mancanza di che cosa? Di storia, di memoria, di citazioni, di cognomi non “famosi”, di riconoscenza, di reciprocità, di onestà. Perché SNOQ si può permettere di parlare nel modo in cui ha parlato da quel palco di trasversalità - attenzione, non perché sia una parolaccia ma perché in questo caso mi pare conti di più la parola in sé che l’obiettivo che ci si pone di raggiungere “in modo” trasversale - e di inclusione? Per esempio perché ha teso, e l’impressione non è stata solo mia ma amiche e compagne mi hanno comunicato le stesse sensazioni, a cancellare, e anche parecchio alla svelta, quello che le donne in Italia e nel mondo hanno sempre fatto per sé stesse e per il genere umano. In termini di rivendicazioni, di diritti, di sfera pubblica, di partecipazione e quant’altro. Quando ci si permette di dire che qualcosa è nata/o in un certo giorno? Quando non esisteva prima. Vorrei dirlo chiaramente assieme alle moltissime altre donne che fanno parte dei movimenti e che attivamente lottano ogni giorno, in rete, fuori dalla rete, come singole o nelle associazioni: non è il 13 febbraio 2011 e non è a Siena il 9 e il 10 luglio che è nato il movimento delle donne. Pochissime hanno pronunciato la parola “femminismo” da quel palco. Peccato non sia stata una svista. Quando si rivendica la maternità di un cambiamento, di una presa di posizione, di una presunta o reale evoluzione, forse bisognerebbe avere l’umiltà e - chiedo scusa per la ridondanza - la coerenza, di guardarsi attorno, oltre che indietro, e nominare prima di approdare semplicisticamente ai vari “-post”, chi ha percorso strade e sentieri prima di noi o parallelamente a noi. Detto questo l’esperienza di quel luogo e di quel tempo è stata per me molto feconda e per diversi motivi. Monica Lanfranco e Laura Guidetti di Marea, che mi hanno spinta a partecipare desiderando che fossi là “anche per loro” lo sapevano già, e me lo avevano anche detto prima che partissi. “È bene che tu vada perché è importante fare esperienza e incontrare le persone e vedere cosa succede e come si muovono le cose. È bene che ci vada tu anche se è prevedibile che gli esiti e le risultanze di questo incontro non saranno quelle che vorremmo che fossero”. Dove ho percepito la fecondità in quella piazza? Nei volti, nei corpi, nelle mani, negli sguardi delle donne che erano lì come me, per ascoltare, capire, partecipare. Nel parlare, con una foga che a volte mi pare eccessiva di “proposte concrete” il rischio a mio avviso è quello di slegare il focus dal tema di fondo: cosa farne di alcune assessore in più (attenzione perché dipende sempre da chi è e chi vuol essere la donna o l’uomo che occupa un posto, nulla garantiscono gli attributi sessuali o il genere di appartenenza) quando rischiamo di continuare a parlare di “questione femminile”? Quando non mettiamo mai abbastanza a tema il fatto che manca qualcuno (chissà chi?) in questo dibattito, quando ci ostiniamo a parlare di lavoro in relazione alla maternità come se a questo fossero legate le donne e null’altro? E avanti. Abbiamo bisogno di fare proposte concrete? Siamo in grado di fare queste proposte non sulla spinta di un’emergenza e tenendo conto di quanto è già stato proposto e di quello che potrebbe servire davvero? I volti incontrati in piazza, più o meno giovani, mi hanno fatto pensare che da un’esigenza così forte come quella che questo paese sta esprimendo da tempo, che è un’esigenza politica, pubblica, chiara, di luoghi e tempi diversi, per sé e per le persone con cui si vive, di dignità della vita e di libertà di scelta, di emancipazione dagli schemi e dagli stereotipi - ogni stereotipo, non solo quelli che ingabbiano le donne ma per esempio anche quelli che legano a doppio filo le esistenze maschili - sarebbe un vero peccato emergesse qualche nome, qua a là. Vorrei invece che il lavoro fatto, di sensibilizzazione, di chiamata, di proposta, portasse ad un radicamento sul territorio, sui territori, di una pratica e di una riflessione sulla lotta e sui desideri che ciascuna ha rispetto a sé e al proprio essere donna. Vorrei che le energie che si sono incontrate restassero saldamente in rete e ben vengano i nuovi media in questo caso. Vorrei che l’eco non fosse solo mediatico, vorrei che restasse nei corpi, sulla pelle, per entrare pian piano dentro a ciascuna e ciascuno perché finchè la lotta delle donne sarà “la lotta delle donne per le donne” avrà vita facile il meccanismo maschile e maschilista della politica istituzionale ma anche dei movimenti, a bollarci come settarie, come estremiste, come “vecchie”, come separatiste. Non vorrei più sentir dire frasi come “sono qui a sostegno della dignità delle donne”, come molti uomini hanno detto in occasione della manifestazione del 13 febbraio, e non solo, perché come sappiamo ha fatto e farà ancora la differenza l’attivazione e la promozione di un processo prima di tutto culturale in cui ciascuna e ciascuno si senta coinvolta, responsabile, in prima fila. Diversamente si tenderà a delegare ancora e ancora. Vorrei che ci inserissimo in questo meccanismo, con determinazione e costanza, cercando strumenti, coinvolgendo esperienze e intelligenze, guardando alle altre con fiducia e lottando perché ci sia sempre più spazio perché ciascuna possa esprimere sé stessa liberamente e soprattutto responsabilmente.



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