Mette di buon umore sapere che in un assolato week end di fine giugno 300 donne si sono incontrate a Genova per parlare di loro stesse e dei loro diritti e per continuare insieme a trasformare il mondo. Siamo arrivate a Genova da ogni parte d’Italia ed anche dalla Francia, dall’Algeria, dall’Inghilterra, dall’India, dall’Iraq, diverse per formazione, età, cultura, professione, condizione economica, appartenenze ma con un filo rosso (e rosa) in comune: non rassegnarsi ad essere considerate “secondo sesso”, continuare a credere che i diritti delle donne o sono universali o non sono; affermare con la forza pacifica di cui le donne sono capaci che vogliamo essere nel contempo “differenti ma non diseguali” e che l’ “eguaglianza” non può essere semplicemente una norma, non può fermarsi alle “pari opportunità” ma deve saper divenire un organizzatore di pensiero e di politica e quando serve anche di conflitto. “Punto G: genere e globalizzazione” il forum tenutosi il 25 e il 26 giugno scorsi a Genova a 10 anni dal primo, è stato tutto questo e forse di più, perché abbiamo cantato ( anche grazie alla presenza del coro comasco delle “Belle di note”), ascoltato la storia di una donna siciliana che nell’Italia degli anni ’60, ad Alcamo, è stata capace di dire di “no”, ballato, e ci siamo “manifestate” per le strade ed i vicoli di una Genova “repubblicana di cuore” “con gli occhi aperti verso il mare”… Sessioni plenarie, laboratori e tavola rotonda finale ci hanno consentito di riflettere, discutere, confrontarci, convergere e dissentire su argomenti importanti che riguardano la vita di tutte noi. Grazie alla rivista “Marea”, che con la collaborazione di tante altre associazioni o reti di donne (fra cui quella di cui faccio parte e cioè IFE, iniziativa femminista europea) hanno dato vita a “Punto G”, metteremo in rete e in circolo tutti i contenuti emersi. Provo però fin da subito , in modo sintetico, a mettere in risalto, a mio personalissimo avviso, le riflessioni più significative. Per le donne la laicità è un principio da cui partire e un orizzonte di senso a cui tendere continuamente. Si tratta quindi di “educare alla laicità” svelando i fondamentalismi di qualsiasi natura (in particolare quelli religiosi). Da qui l’importanza di saper individuare le trappole, e le strumentalizzazioni, dell’approccio “multiculturale”, che tende a rispettare acriticamente tutte le culture e tutte le tradizioni non vedendo, o fingendo di non vedere, la natura sessuata dei sistemi di potere che le strutturano. Un simile approccio, oltretutto, rischia di considerare “omogenee” le differenti comunità senza cogliere le differenze ed i conflitti che le animano ( le amiche provenienti dai paesi mussulmani hanno molto insistito su questo aspetto). Se il multiculturalismo si alimenta di pregiudizi e preconcetti e non riconosce l’universalità dei diritti delle donne in quanto “diritti umani” non può che far male alle donne stesse. Il diritto al lavoro continua ad essere anche per le donne uno strumento di emancipazione perché consente autonomia economica e riconoscimento sociale. Una tale affermazione , per sfuggire dall’astrattezza che la caratterizza, deve sapersi misurare con alcune questioni, materiali e simboliche: i processi contemporanei di “femminilizzazione” e di precarizzazione del lavoro; l’intreccio fra lavoro di produzione e di riproduzione (biologica,domestica,sociale); la sfida di un cammino comune di emancipazione e liberazione fra donne migranti e native; la necessità di ridare un senso e un valore al lavoro dopo che il neoliberismo lo ha trasformato in merce e mentre si tenta di usare la crisi economica per riproporre , in fabbrica e nella società, un ordine gerarchico che riporta il calendario indietro di cent’anni. La sfida femminista è quella di considerare il lavoro come bene comune ed orientarsi verso un’economia della riproduzione piuttosto che del profitto o del consumo. Il ritorno prepotente di stereotipi femminili va contrastato con determinazione. Il “corpo delle donne”, seppur continuamente violentato sul piano simbolico e materiale, può essere al contrario rivoluzionario perché per una donna, consapevole di sé, il corpo non è solo “fisico bestiale” ma anche pensiero, desiderio, passione, ragione, sentimento. Il corpo delle donne è potente perché in grado di dare la vita, competente perché in grado di accudire, vitale perché in continua trasformazione. Per tutto ciò non può avere né padri, né padroni, né padreterni. La tavola rotonda conclusiva ha visto il confronto fra donne di generazioni differenti che hanno espresso un desiderio comune :sottrarsi all’ eterno presente cui sembriamo condannate/i per riconoscere il nostro passato e immaginare, finalmente, un futuro.
Punto G è stato tutto ciò . Un punto quindi non per concludere ma al contrario per andare a capo....
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