Esile, salutista, Martha Nussbaum incarna, anche nell’immagine, la rappresentazione perfetta dell’intellettuale democratica americana, così attenta, lei che si nutre quasi esclusivamente di yogurt e frutta, ai dettami alimentari cari alla first lady Michelle. La filosofa è in Italia per presentare il suo nuovo libro, “Non per profitto”, sottotitolo che recita “Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica” (Il Mulino), tesi molto cara da noi anche a Umberto Eco, secondo la quale la lettura dei classici della letteratura è più utile, nella formazione anche di un manager, di una sovraesposizione di ‘business plan’.
E, a proposito di classici, ci racconti la sua recente esperienza in India. «Lavoro da qualche anno - risponde - a un progetto di alfabetizzazione di base per donne delle caste sociali più basse in India, e insieme leggiamo Platone. Questo ha uno straordinario beneficio sull’accrescimento della loro consapevolezza politica, sulla nascita di una coscienza che si traduce in forme di democrazia e partecipazione dal basso che possono mutare il corso, altrimenti segnato, delle loro vite»
L’attenzione all’universo femminile, per lei, è una priorità? «Sì, lo è al di là delle latitudini. Io credo che il tema della condizione femminile, della fragilità della donna, della sua a volte assoluta mancanza di diritti, sia una questione globale che trascenda le differenze di generi. Anzi, proprio per gli uomini, conoscere lo stato nel quale versano le donne, anche in molte democrazie avanzate, può essere salutare per comprendere come il concetto di eguaglianza è il nodo intorno al quale si svilupperà il nostro futuro. Forse per questo i miei corsi di “filosofia femminista” all’Università di Chicago sono frequentati da studenti maschi in buona parte. Il mio auspicio e che lo studio della condizione femminile diventi materia obbligatoria di insegnamento, anche nelle scuole di primo grado».
Cultura umanistica e democrazia lei scrive, sono indissolubilmente legate... «Certo, non dobbiamo pensare agli studi umanistici come a un patrimonio riservato solo ai più ricchi, ai leader. Il mio esempio è Socrate. La sua retorica non era elitana, era una forma di dialogo aperta a tutti e tutti potevano accedervi. Questo adesso non succede perché chi detiene il potere sa che la cultura, se a disposizione di tutti, diventa una forma di critica profonda molto pericolosa per il sistema politico. Perciò dobbiamo accostarci ai testi dei grandi scrittori classici in modo non accademico, ma iniziando con la formazione di base».
Come giudica il sistema universitario in Italia? «In Italia, come in buona parte dell’Europa, si tende ad avviare lo studente a una specializzazione troppo precoce, indicando sin dall’inizio del corso di laurea l’indirizzo preciso che prenderà. Ci vorrebbe, a mio avviso, una prima fase dove focalizzare l’attenzione, ancora per due anni, su argomenti maggiormente condivisi, dalla letteratura alla storia alla filosofia, per poi continuare in maniera più specialistica. L’alternativa potrebbe essere quella di sviluppare forme interdisciplinari di relazione tra le varie facoltà, che permettano alla cultura umanistica di mantenersi vitale»
Come valuta i primi anni dell’amministrazione Obama per ciò che riguarda l’istruzione e la formazione culturale? «Mi duole dirlo, ma non è cambiato nulla. E la colpa non è nella mancanza di impegno del Presidente, ma nel sistema stesso dell’istruzione nel mio Paese. La scuola e la formazione non sono regolate in maniera centralistica e quindi le capacità di intervento del governo sono davvero limitare. Sono le istituzioni locali ad avere il potere di indirizzo ed economico in questo campo. Quello che il governo ha fatto, ed era nelle sue facoltà, è stato preparare i nuovi test che regolano l’ingresso nelle università. Peggiorando così la qualità dell’insegnamento. Perché adesso i docenti, piuttosto che svolgere un programma, si preoccupano solo di insegnare agli allievi come fare per rispondere brillantemente alle domande dei quiz».
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