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Ci rimarranno muri di plexiglass

di Claudia Pratelli
domenica 7 giugno 2020 di Nicoletta

Il quadro ora è chiaro: non c’è un’indicazione su cosa accadrà nella scuola da settembre in poi, se non l’ipotesi di ingabbiare in strutture di plexiglass gli studenti nelle classi perché, ancora una volta, si sceglie di non investire adeguatamente sulla scuola. Non c’è una una discussione di fondo sugli orizzonti della scuola, su come ripensarla. Ma se non c’è “una visione almeno capace di andare oltre l’anno solare – scrive Claudia Pratelli – di questa fase ci rimarranno muri di plexiglass”

Era il 4 marzo quando sono state chiuse le scuole. Sono passati tre mesi di nostalgia per gli amici, didattica a distanza, salti mortali dei docenti per non disperdere nessuno, salti mortali dei genitori per reinventarsi un po’ maestri. Tra i tanti dubbi l’unica cosa che è emersa chiarissima è che serve la scuola vera, quella fatta con il corpo, perché quella on line ha il fiato corto e non argina le diseguaglianze. A questo era chiamato il ministero: lavorare per organizzare e consentire quanto più possibile il ritorno a scuola in presenza e in sicurezza. Quanto più possibile, ripeto, non credo e non chiedo miracoli. Ho pensato in questi tre mesi che servisse uno sforzo collettivo, la massima coesione possibile e tanta fiducia nelle istituzioni nazionali chiamate a governare una fase così complicata e drammatica. Ho tentato di mantenere ferma questa disciplina anche davanti alle uscite televisive, spesso imbarazzanti, della ministra Lucia Azzolina; alle dichiarazioni e rapide smentite sui doppi turni oppure no; sulle classi metà on line e metà in presenza ma forse no; sul rientro solo dei più grandi oppure solo dei più piccoli; sulla reinvenzione del modello di scuola ma a costo zero e su tante altre amenità, compresa la tarantella sui precari della scuola. Ho mantenuto questa disciplina perché la crisi sanitaria è una cosa molto seria, non va sottovalutata di un millimetro e mette a dura prova il ripensamento del sistema scolastico. Adesso però davvero non c’è più tempo, né pazienza.

Non c’è ancora uno straccio di indicazione chiara su cosa accadrà da settembre in poi, se non l’ipotesi di ingabbiare in strutture di plexiglass gli studenti nelle classi perché ancora una volta si sceglie di non investire adeguatamente sulla scuola. Senza girarci intorno: la prima cosa da fare è assumere personale, docente e ata, perché senza i collaboratori scolastici la scuola letteralmente non si apre.

Non c’è uno straccio di indicazione sugli interventi sulle strutture: sono state inviate risorse alle scuole, non ancora agli enti locali. Arriveranno? Per fare cosa? Lo stato del patrimonio edilizio scolastico lascia a desiderare da nord a sud della penisola e gli enti locali che dovrebbero manutenerli oltre che di risorse sono poveri di personale e chiamati a procedure giurassiche per fare qualsiasi cosa. Se sulle strutture si intende fare un lavoro vero non ce la caviamo con i poteri commissariali ai sindaci.

Ma soprattutto non c’è o almeno non arriva una discussione di fondo sugli orizzonti della scuola, su come pensarla, ripensarla, trasformarla oltre i suoi codici e le sue liturgie. Al di là dell’emergenza covid davvero ci vanno bene le classi di trenta studenti? Oltre il covid davvero pensiamo che la scuola debba essere recintata dentro le sue mura, magari con le telecamere e le volanti della polizia all’ingresso come piace a Salvini? È accettabile la guerra sugli organici che si consuma ogni dannatissimo anno tra le scuole (in alleanza con genitori e municipi) e gli Uffici scolastici regionali per avere un docente in più, un collaboratore in più, un tempo pieno in più?

Ha senso mantenere separate e tacitamente in competizione tra loro scuole comunali e scuole statali? Come si coniuga l’approccio zero-sei anni con quello degli istituti comprensivi? Oltre il covid ci interessa qualcosa della formazione e dell’adeguatezza del personale docente, della sua qualità, dell’aggiornamento professionale? Possibile che il tema sia solo di spremere i precari per pagarli meno (ma poi chissenefrega se sono adeguati), ma quando si tratta di assumerli devono superare prove col fuoco e la pubblica gogna? E ancora le scuole le vogliamo come polo culturale sul territorio partecipato, animato, vivo di mattina e pomeriggio, nei feriali e nei festivi oppure no? Non dico qui e ora, non dico per la riapertura a settembre, ma come orizzonte verso il quale ci muoviamo. Le scelte di oggi ci chiamano a un pensiero sulla scuola di domani. Per questo i temi elencati, anche quelli apparentemente più distanti, riguardano da vicino la riapertura. Perché senza una visione almeno capace di andare oltre l’anno solare di questa fase ci rimarranno muri di plexiglass.



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