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Se abbiamo bisogno di Simone de Beauvoir

di Michela Marzano
mercoledì 20 aprile 2011 di ifeitalia

"Non si nasce donna, lo si diventa". Lo slogan di Simone de Beauvoir è famoso. Esattamente come sono noti i suoi rapporti complessi con Sartre, le sue battaglie politiche, i suoi romanzi. Ma Simone de Beauvoir non è solo questo. È soprattutto una delle maggiori intellettuali del XX secolo, la cui opera, talvolta complessa, talvolta ambivalente, ci ha lasciato in eredità una libertà immensa: quella di pensare con lei o contro di lei. Perché essere veramente liberi, significa volere la libertà degli altri.

«Solo la libertà dell’altro è capace di necessitare il mio essere», scriveva nel 1947 in Per una morale dell’ambiguità. È forse per questo che, a venticinque anni dalla sua scomparsa, Simone de Beauvoir continua a suscitare interesse e polemiche. E che Le Monde le dedica un numero speciale per celebrarne l’opera e la vita, nonostante le critiche devastanti che l’hanno sempre accompagnata nel corso dell’esistenza.

Quando, nel 1949, esce Il secondo sesso, l’obiettivo di Simone de Beauvoir è chiaro: di fronte alla dominazione maschile, l’unica possibilità che resta alle donne per accedere all’uguaglianza è quello di celebrare l’universalità della ragione. È solo decostruendo le categorie di "uomo" e "donna" che si potrà un giorno permettere a tutti di accedere al "neutro". La ragione, infatti, non ha "sesso", e anche quando "ha" un corpo, non "è" mai il corpo in cui si incarna. Opponendosi ad una tradizione filosofica millenaria secondo la quale esisterebbero due essenze radicalmente differenti, quella femminile e quella maschile, la filosofa francese si batte contro l’idea che le donne siano, per natura, sprovviste di autonomia morale e incapaci di argomentare. Basta con quest’idea che l’obbedienza, la fedeltà e il silenzio siano virtù tipicamente femminili: la donna non è solo una creatura sottomessa che assiste impotente alle trasformazioni del proprio corpo; non è solo la giovane che aspetta di essere fertile, la sposa che diventa madre, l’anziana che, una volta in menopausa, esce dalla circolazione.

Basta con quest’oscurantismo che riduce la donna a "sesso": «La donna si determina e si differenzia in relazione all’uomo, non l’uomo in relazione a lei; è l’inessenziale di fronte all’essenziale. Egli è Soggetto, l’Assoluto: lei è l’Altro». Certo, la donna è "altro" rispetto ad un semplice corpo programmato per la sessualità e la riproduzione. Ma proprio perché non esiste alcuna necessità biologica di fare figli e di occuparsene, l’altro cui deve aspirare la donna è la propria razionalità. Ma cosa resta oggi del suo pensiero universalista? Chi prende ancora il tempo di leggere Il secondo sesso per tirarne le conseguenze necessarie per un vivere-insieme decoroso, senza impantanarsi in inutili querelles?

In questi ultimi anni, all’interno del femminismo, si è creata una vera e propria frattura. Da un lato, portando al parossismo le posizioni di Simone de Beauvoir, un certo numero di femministe "universaliste" sostengono che il vero problema non è la differenza di genere (l’insieme delle condizioni psicologiche e sociali che fanno sì che ci si senta uomini o donne) ma la differenza di sesso (l’insieme dei caratteri biologici e genetici): per loro, non esiste alcuna differenza tra gli uomini e le donne, perché il "sesso" ci viene imposto esattamente come il genere; ogni persona è al tempo stesso uomo e donna. Dall’altro lato, rifiutando in blocco le analisi della filosofa francese, alcune militanti "differenzialiste" fanno della "capacità riproduttiva della donna" il simbolo del potere femminile. E se la "verità" del pensiero di Simone de Beauvoir fosse altrove?

La paladina del femminismo francese non ha mai smesso di esortare le donne a "costruirsi" e a decidere ogni giorno della propria vita. Lo ha fatto rimettendosi sempre in discussione, anche nella propria vita. Svelando le proprie fragilità e le proprie fratture interne, non ha voluto essere né una "leader", né una "madre simbolica" per le proprie lettrici. E se ha sempre difeso l’universalismo, è stato per esortare le donne a superare le contingenze storiche per raggiungere l’uguaglianza tra gli uomini e le donne. Non ha proposto alcun "modello unico" da seguire. Non ha mai rifiutato la singolarità dell’esperienza individuale. Nei suoi romanzi, ci ha parlato di "sua" madre, dei "suoi" amanti, della "sua" vecchiaia. E lo ha sempre fatto in prima persona. Perché "ogni incarnazione dell’esistente ha un significato sessuale", come ha scritto più volte, iscrivendosi all’interno dell’esistenzialismo di Sartre e di Merleau-Ponty.

Per sottrarsi ai condizionamenti storici, le donne devono innanzitutto rifiutare l’idea di un "destino" predeterminato ed elevarsi alla ragione universale. Devono gettare "dentro il vecchio armadio delle entità" le idee di "istinto" e di "eterno femminile". Devono affermare insieme agli uomini e "al di là delle loro differenze naturali", la loro fraternità. Ma non devono, per questo, rinunciare alla propria singolarità. Certo, "per sapere in che misura la donna manterrà la propria singolarità bisognerebbe azzardare dei pronostici molto arditi", scrive la filosofa nelle ultime pagine del Secondo sesso. È per questo che resta tanto da "dire" e da "fare", come dichiara la psicanalista Julia Kristeva. Ma l’eredità che ci lascia oggi Simone de Beauvoir è proprio questa: una serie di chiavi di lettura per pensare il mondo in cui può vivere oggi la "donna emancipata". Senza ricette. Senza pretese. Cosciente solo del fatto che, per essere "libere", le donne non devono mai smettere di lottare contro gli stereotipi.



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