Nel suo articolo sull’ultimo numero de L’Espresso (del 7 luglio 2019), «Il dissenso è donna», Michela Murgia parla di un protagonismo femminile, che va da Malala, Nadia Murad, Greta Thunberg, fino a Carola Rackete. E osserva giustamente che ciò che le accomuna è aver agito «non contro persone ma contro sistemi, contro un potere che si manifesta in modo violento qualunque forma assuma". Ma quando è il potere stesso, forte di un ampio consenso popolare, a prendere un corpo e un volto riconoscibili – come nel caso di Trump e Salvini- è inevitabile che anche chi vi si oppone diventi figura unica, eroica, simbolo di una volontà collettiva di resistenza. «Viva la Capitana, abbasso il Capitano!», «La Capitana contro il Capitano: braccio di ferro Rackete-Salvini»: sono solo alcuni dei titoli comparsi sui giornali quando Carola ha deciso di forzare il blocco e portare in salvo nel porto di Lampedusa le 42 persone che aveva a bordo della Sea Watch.
SU UN ALTRO versante, ha preso un analogo rilievo la calciatrice e attivista per i diritti Lgbtqi, Megan Rapinoe, quando ha sfidato Trump rifiutandosi di cantare l’inno nazionale e di incontrarlo dopo la vittoria della squadra statunitense per stringergli la mano. Attorno a loro c’erano altre donne, da quelle presenti sulla Sea Watch, alla Gip di Agrigento Alessandra Vella, che ha rilasciato Carola, alle calciatrici compagne di Vegan. Il condensato di ingiurie – dal sessismo al razzismo alla lesbofobia – e di minacce che si è scatenato nei media e nei social, non le ha risparmiate, così come sono finite sotto le aggressioni di un maschilismo selvaggio tutte le donne che hanno espresso la loro solidarietà alle «capitane». Senza voler negare l’efficacia che hanno le azioni esemplari, quando avanzano governi autoritari e politiche liberticide, non si dovrebbe tuttavia mai dimenticare il tessuto collettivo da cui nascono, le relazioni e le battaglie che le hanno faticosamente precedute, oltre alle ragioni complesse che più o meno consapevolmente le muovono.
In una breve intervista uscita su www.vita.it, Anna Spena mi chiedeva: «E se Carola fosse stata un uomo?» «Perché con tanta facilità a una donna si augura di essere stuprata?». Se avesse aggiunto che nell’augurio gli stupratori, a cui si faceva riferimento, erano «i negri che aveva salvato», sarebbe apparsa con evidenza la parentela tra sessismo e razzismo, rimasta a lungo confusamente sepolta nell’eredità remota della storia umana, e, al medesimo tempo, la consonanza profonda tra la condizione del migrante, che compare sconosciuto ai confini di una comunità, e il destino toccato per millenni a quel primo «straniero» che è per l’uomo il corpo femminile da cui nasce.
È tristemente consolatorio dover riconoscere, nel contesto in cui viviamo, che sono gli odi, i rancori, i pregiudizi più arcaici e violenti a portare allo scoperto il potere e la violenza in tutte le loro forme, che sono i casi esemplari della combattività delle donne a far calare paradossalmente il silenzio sui movimenti femministi che, come la rete transnazionale Nudm (Non una di meno) ha posto fin dalla sua comparsa in Italia il tema della «intersezionalità», le appartenenze diverse – di sesso, genere, classe, razza, orientamento sessuale- che si intrecciano e sovrappongono nella vita di ogni persona.
NON È UN CASO che siano donne, in Italia come altrove, a denunciare, contrastare le politiche disumane dei governi rispetto ai migranti. «Nuda vita», «nient’altro che corpi», sfruttati come risorse e tenuti sotto controllo per una sessualità considerata minacciosa nei suoi eccessi, sono stati sia le donne che i popoli di pelle diversa, soprattutto se nera. Quindi non dovrebbe meravigliare che siano loro oggi in primo piano a mostrare la discrepanza tra le affermazione di valori, diritti umani, e le leggi che dovrebbero darvi applicazione. Per quanto suggestivo, il richiamo ad Antigone come figura della disobbedienza alle leggi della città, non ha molto a che vedere con una scelta che Carola stessa ha definito nei suoi termini più concreti: obbligo di soccorrere i naufraghi e condurli in un porto sicuro, così come sancito dalle consuetudini internazionali sul diritto del mare e dai trattati che le specificano, assunzione del rischio di violare una legge, il decreto sicurezza bis, incompatibile con l’articolo 2 della nostra stessa Costituzione.
OPPORSI alle molteplici forme di dominio, tenendo presente la matrice sessista che le sorregge, combattere i governi che le legittimano, è oggi, nell’azione singola come nelle pratiche collettive del femminismo, un riferimento essenziale per tutti i movimenti che, nella loro frammentarietà, condividono la speranza e l’impegno per un mondo più giusto, più umano e più vivibile.
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