Decenni di “pensiero unico” , insieme materiale e simbolico, non sono riusciti ad uccidere il nostro spirito critico né ci siamo mai rassegnate al silenzio o alla “sola” resistenza perché vogliamo, caparbiamente, continuare a seminare futuro. Continuiamo a dirci “femministe”, anzi, rivendichiamo questa parola per inserire il nostro impegno di oggi in una lunga storia che racconta di lotte per il riconoscimento dei nostri diritti e per la liberazione di tutte e tutti dalle ingiustizie e dagli stereotipi imposti dai sistemi di potere che ancora governano il mondo. Un femminismo, che non vuole assecondare i processi in atto ma ha desiderio di “conflitto” perché come si diceva negli anni “70”… non rivendichiamo solo “eguaglianza” ma vogliamo mettere in discussione il mondo intero, vogliamo continuare a lottare per altri rapporti fra donne e uomini, per un’altra idea di maternità, per un’altra organizzazione del lavoro, per un altro modo di intendere e vivere la sessualità, per un altro modo di scrivere, cantare, far politica, vivere ….” Di conflitto c’è un gran bisogno se consideriamo il fatto che la precarizzazione del lavoro ha riguardato soprattutto le donne, che permangono le storiche diseguaglianze di salario e di riconoscimento professionale fra donne e uomini, che l’80% dei poveri del mondo sono donne, che il restringimento dei sistemi pubblici di welfare ha determinato, per le donne, un aumento del lavoro gratuito di riproduzione sociale e la nascita della figura di “badante”, lavoratrice “straniera” senza voce né diritti riconosciuti, che continuano le violenze maschili contro le donne, che non si ferma il misconoscimento del nostro diritto all’autodeterminazione e alla libertà di scelta sul nostro corpo. Così come c’è bisogno di conflitto per non rassegnarsi al ritorno in campo, prepotente, di fondamentalismi di varia natura e di stereotipi che credevamo ormai superati e che invece, nonostante le apparenze, riaffollano le pubblicità, i libri di scuola, le riviste per adolescenti, i programmi televisivi e tentano di condizionare i sogni e l’immaginario delle nuove generazioni di donne (uno stuolo di piccole cuoche, bambolone sexy, mogli di maschi ricchi, …) Sappiamo, dunque, da dove veniamo e teniamo i piedi per terra ma proprio per questo rivolgiamo gli occhi all’orizzonte perché vogliamo credere che in tempi di grandi trasformazioni come quelli che stiamo vivendo ci possa essere lo spazio per un movimento di donne che in ogni parte del mondo possa immaginare e costruire un altro mondo possibile. Non c’è nulla di scontato né di facile, evidentemente, ma nemmeno d’impossibile. In Europa, per esempio, ci son state importanti mobilitazioni di donne in Portogallo (per la cancellazione del reato di aborto), in Polonia (per far riconoscere i diritti delle donne all’autodeterminazione), in Francia (sull’età pensionabile). Le relazioni politiche che abbiamo costruito con molte donne nei paesi balcanici e nel mondo arabo ci dicono del grande fermento che abita le donne “mediterranee”. C’è ancora vitalità anche in Italia, le recenti manifestazioni del 13 febbraio scorso ne sono un esempio. L’8 marzo per noi sarà tutto questo: continuità, consapevolezza, conflitto e speranza. IFE ITALIA raggiungici su www.ifeitalia.eu e-mail ife.efi.italia@gmail.com
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