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Uno sguardo su Nuit Debout.

intervista a Jacques Rancière a cura di Joseph Confavreux*
venerdì 13 maggio 2016

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D: Che sguardo avete sul momento/movimento della Nuit debout?

Rancière: Diciamo innanzi tutto che il mio punto di vista è strettamente limitato: è quello di un osservatore esterno che reagisce semplicemente a quanto evocano per lui i temi e le forme di tale movimento. A prima vista, si può cogliere in questo movimento una sorta di versione francese in miniatura del “movimento delle piazze” che ha avuto luogo a Madrid, New York, Atene o Istanbul. Esso è tollerato sullo spazio che occupa, più che invadere. Ma condivide con queste occupazioni l’idea di restituire alla politica il suo aspetto di sovversione materiale effettiva di un ordine dato degli spazi e dei tempi. Questa pratica ha avuto difficoltà nell’installarsi in Francia, dove il tutto della “politica” è oggi ricondotto alla lotta dei concorrenti per la presidenza della Repubblica. La Nuit debout non riesce a credere a se stessa e a volte assomiglia a una “mezza occupazione”. Tuttavia fa ben parte di quei movimenti che hanno operato una conversione dalla forma-manifestazione alla forma-occupazione. All’occorrenza, ciò ha significato passare dalla lotta contro certe disposizioni della legge sul lavoro a un’opposizione frontale a quella che alcuni chiamano “uberizzazione” del mondo del lavoro, una resistenza contro la tendenza che vorrebbe sopprimere ogni controllo collettivo sulle forme di vita collettive. Al di là delle misure particolari della legge El Khomry, questa in effetti è la posta in gioco. La Loi Travail è apparsa come il culmine di tutto un processo di privatizzazione dello spazio pubblico, della politica, della vita… Il contratto di lavoro è qualcosa che viene negoziato con ogni singolo individuo, ciò che significa ritornare al XIX secolo, prima della nascita delle forme moderne di lotta operaia, ovvero si difende una società fondata sul controllo collettivo e la discussione collettiva, sia della vita che del lavoro. La Nuit debout è apparsa, in tale contesto, come una riduzione su scala francese di qualcosa di singolare che si potrebbe chiamare desiderio di comunità. Abbiamo già conosciuto l’epoca in cui ci si ritrovava dentro strutture collettive potenti al cui interno si conducevano delle battaglie, si trattasse dell’università o della fabbrica. La lotta allora contrapponeva in un medesimo luogo due modi di fare comunità. Ma noi siamo ora al termine di una grande offensiva che alcuni definiscono neo-liberale e che io chiamerei piuttosto offensiva del capitalismo assoluto, che tende alla privatizzazione di tutti i rapporti sociali e alla distruzione degli spazi collettivi in cui due mondi si affrontavano. Contro questa privatizzazione e individualizzazione è nato, e si è sentito fortemente in Occupy Wall Street, un desiderio un po’ astratto di comunità, che ha trovato, per materializzarsi, l’ultimo luogo disponibile, la strada. L’occupazione, un tempo, aveva il suo luogo privilegiato nella fabbrica, dove la comunità operaia affermava il proprio potere sul luogo e sul processo al cui interno subiva il potere padronale e faceva così di quel luogo privato uno spazio pubblico. Essa si pratica oggi nelle strade, nelle piazze, come negli ultimi spazi pubblici dove si può essere in comune, discutere e agire in comune.

D: Nella Nuit debout, sono spesso chiamati in causa la Rivoluzione francese, la Comune o il Maggio ‘68. Che pensate di questa mobilitazione della storia rivoluzionaria, che alcuni giudicano più parodistica che reale?

Rancière: Gli Amis de la Commune hanno effettivamente uno stand a place de la République. Si colloca, tuttavia, in continuità con una grande tradizione storica? Bisogna considerare che l’offensiva del capitalismo assolutizzato è raddoppiata da un’intensa controrivoluzione intellettuale ad un’offensiva revisionista nei confronti di tutte le forme della tradizione di sinistra, che sia rivoluzionaria, comunista, anticolonialista o partigiana. Questa controrivoluzione intellettuale si è sforzata di annientare o di criminalizzare ogni elemento di questa tradizione. La Rivoluzione del 1917 è stata ridotta ai campi staliniani, la Rivoluzione francese al Terrore, l’anticolonialismo all’inutile «singhiozzo dell’uomo bianco» e infine la Resistenza agli eccessi dell’epurazione. C’è stato insomma un annichilimento di tutto un passato, operato da persone che, d’altronde, non cessano di gemere sulla “trasmissione” perduta. La volontà di riannodarsi al passato è dunque importante, anche se può sembrare formale e simbolica. I richiami a una storia di lotte e contraddizioni possono inoltre svolgere un ruolo di contrappeso rispetto ai rischi di annacquamento della politica in una specie di fraternità, in un movimento come la Nuit debout che non si colloca più, come il Maggio ’68, su un solido fondamento di credenze marxiste nella lotta di classe e di conflitti operai.

D: Che lettura date dell’esigenza molto “orizzontalista”, senza rappresentanti né leader, portata avanti dalla Nuit debout?

Rancière: Bisogna collocarla nel contesto dell’orrore sempre crescente che la politica ufficiale può ispirare. Per il 15M di Madrid la grande parola d’ordine indirizzata a chi allora faceva campagna era: «Voi non ci rappresentate». Ma ciò corrisponde anche al discredito delle avanguardie politiche rivoluzionarie, ancora molto potenti nel 1968. Le assemblee attuali reagiscono contro le assemblee che abbiamo conosciuto nel Maggio ‘68 e dopo, manipolate dai gruppuscoli. Dobbiamo capire il richiamo a quanto significa eguaglianza, comprese le sue forme più materiali. Ma, oltre a ciò, fa problema l’ideologia del consenso, con quell’idea che tutti devono essere d’accordo e una feticizzazione della forma assemblea, che sarebbe soltanto il luogo dove ciascuno dovrebbe poter parlare. È una preoccupazione, d’altronde, condivisa da molti che sono coinvolti nel movimento: un’assemblea popolare non deve essere soltanto un’assemblea dove ognuno viene, a turno, a esprimere il proprio problema o la sua rivolta e battersi per la causa militante che gli è particolarmente cara. Nuit debout, come tutte le occupazioni del medesimo genere, per un verso raccoglie individui desiderosi di ricreare il comune, per l’altro anche quella moltitudine di militanze parziali, specializzate, che si sono sviluppate nello stesso contesto di privatizzazione della vita pubblica e di rigetto di ogni “avanguardia”. È importante che il diritto di ogni voce sia affermato, ma un’assemblea deve poter decidere su qualsiasi cosa e non semplicemente proclamare “siamo tutti eguali”. Un’assemblea deve dunque manifestarsi con decisioni, con lotte, non solo essere una figura formale dell’eguaglianza. Certo, è importante materializzarla spazialmente. Nel 1848 era stato proposto uno schema di assemblea in cui i rappresentanti avrebbero dovuto stare di sotto, mentre al di sopra stavano migliaia di uomini del popolo per sorvegliarli. L’aspetto propriamente materiale della politica egualitaria è dunque molto importante. Ma l’agire della libertà e dell’eguaglianza non può assumere semplicemente la forma di un’assemblea in cui ognuno ha libertà di parola. L’eguaglianza è un processo di verifica, un processo di invenzione, non semplicemente una fotografia della comunità. Resta il problema di inventare delle azioni, delle parole d’ordine, affinché l’eguaglianza si metta in marcia. Un’assemblea egualitaria non è dunque un’assemblea consensuale, neppure se la nozione di consenso si colloca al cuore di tutti i movimenti che occupano le piazze. Mi ricordo dello choc sperimentato, una volta che ero stato invitato a parlare in un’università occupata dagli studenti di Amsterdam, davanti al grande striscione che proclamava: “Consensus. No leaders”. La lotta contro le gerarchie è una cosa, l’ideologia del consenso un’altra. Contestare i leader e la gerarchia, certo, ma ciò non significa che tutti siano d’accordo e che non si possa intraprendere nulla se non con l’accordo di tutti.

D: Dobbiamo allora ridefinire il concetto di democrazia, dopo aver visto nel caso di Finkielkraut [il filosofo neo-liberale espulso dalla piazza, n.d.t.] che il termine generava divisioni interpretative: consenso o conflitto?

Rancière: L’episodio Finkielkraut ha squalificato la Nuit debout solo nelle cerchie in cui, comunque, era già squalificata. Che sarebbe successo se Finkielkraut fosse ripartito senza che nessuno gli avesse prestato attenzione? I vari Joffrin e Onfray, invece di strillare al totalitarismo, avrebbero sogghignato: ecco questi terribili rivoluzionari! Non hanno neppure osato interpellare Finkielkraut! Tutto ciò non ha importanza. Il problema sta altrove. Democrazia vuol dire che nel seno stesso del popolo democratico ci sono posizioni che entrano in conflitto fra loro, non semplicemente che si succedono al microfono uno che parla di marxismo, un secondo che evoca i diritti degli animali e un terzo che evoca la situazione dei migranti. Servono vari tipi di assemblea, uno in cui ognuno può dire quel che vuole, perché ne può scaturire qualcosa di inatteso, ma soprattutto altri in cui ci si domanda: “Che si sta facendo e cosa si vuol fare”? Il problema della democrazia è di arrivare a costituire la volontà di un popolo. Con quali parole d’ordine si decide che si farà popolo, che si può costruire un collettivo democratico? Attualmente abbiano la sensazione di essere in una specie di spazio di soggettivazione, ma senza che si instauri davvero una soggettivazione collettiva. Per questo occorrerebbe che esistessero altrove dei forti movimenti sociali e soprattutto che tutti i giovani, che vivono come al margine della comunità nazionale, costituissero, anche loro, dei collettivi, per dire quello che vogliono. Negli anni ‘80, ci fu quella marcia per l’eguaglianza cui parteciparono i giovani dell’emigrazione, iniziativa in seguito recuperata, manipolata, annientata, come tutte le energie inghiottite dalla menzogna “socialista”. Oggi è assai difficile rimettere in marcia l’eguaglianza. Non è che abbia più immaginazione di altri, ma penso che quello è il problema. Si ha spesso l’idea che, maggiore è l’oppressione, maggiore sia la resistenza. Però le forme di oppressione che ci governano non creano resistenza ma scoraggiamento, disgusto verso se stessi, il sentimento di essere incapaci di fare checchessia. Allora si può pure dire che la Nuit debout funziona a circuito chiuso e si culla di illusioni, ma uscire dallo scoraggiamento resta fondamentale.

D: Che pensate dell’idea di scrivere una costituzione e di preparare un’assemblea costituente?

Rancière: Il disinteresse per le forme della vita pubblica istituzionale in nome di una pretesa radicalità rivoluzionaria ha sicuramente contribuito alla smobilitazione delle energie. È dunque importante riaffermare fino a qual punto lo stato in cui ci troviamo è una conseguenza della disastrosa costituzione del V Repubblica e dell’anestesia di ogni vita politica e dell’imputridimento degli spiriti che essa ha prodotto nel lungo termine. Un movimento anti-V Repubblica, anti-presidenzialista, è dunque una necessità. Del pari, il richiamo a certe verità provocatorie sulla democrazia, come l’estrazione a sorte è ciò che essa implica: la de-professionalizzazione della vita politica. Ma, per un verso, l’appello alla Costituente si accompagna spesso a ideologie “civiche” piuttosto banali e “repubblicane” un po’ “rigide”. Ma soprattutto non bisogna immaginarsi di uscire dalla putredine attuale soltanto redigendo una buona costituzione. Redigere una costituzione è importante quando lo fanno persone cui non lo si domanda, che non hanno “qualità” per farlo. Ma è altrettanto importante che ciò avvenga in un processo di lotta in cui le parole non sono ricette per una felicità futura ma armi nel presente. Sarebbe bene, per esempio, che le costituzioni “redatte dai cittadini” si iscrivessero in processi di lotta effettivi contro l’ordine costituzionale vigente, che servissero, per esempio, a gettare scompiglio nelle famose “grandi primarie democratiche” [iniziativa pseudo-civica per organizzare primarie a sinistra per designare il candidato alle presidenziali del 2017, n.d.t.]. La gente per bene strillerebbe all’offesa alla democrazia, ma ciò produrrebbe una discussione sul senso stesso della parola democrazia che potrebbe essere utile. Il nocciolo del problema è che bisogna immaginarsi forme di vita politica che, allo stesso tempo, siano integralmente eterogenee rispetto a questa vita politica ufficiale integralmente confiscata da una classe di professionisti che si riproduce indefinitamente – situazione che in Francia ha raggiunto un livello senza pari nell’Europa occidentale – e tuttavia capaci di affrontarla secondo le loro forme e la loro agenda propria.

D: Che fare dell’accusa di omogeneità sociologica mossa alla Nuit debout?

Rancière: All’inizio il Maggio ’68 era un movimento di un piccolo gruppo di studenti “piccolo-borghesi”. E ha prodotto la dinamica dello sciopero generale che ha finito per trasformarlo, con la convergenza sulla Sorbona di molteplici forme di lotta che scoppiavano qua e là. Bisogna ricordarsi del ruolo di modello svolto per l’occupazione stessa della Sorbona dallo sciopero con occupazioni e sequestri che allora si svolgeva da varie settimane nella fabbrica di Sud-Aviation a Nantes. La Nuit debout, a sua volta, arriva dopo il giudizio simbolico che ha condannato a pene di reclusione, per gli stessi fatti, alcuni operai della Goodyear. Arriva in un contesto di delocalizzazione delle imprese, chiusura di fabbriche, disfatte operaie e criminalizzazione delle forme di resistenza. Non può beneficiare della dinamica sociale che abbiamo conosciuto nel Maggio ’68. Certo, occorrerebbero dei movimenti Nuit debout o dei movimenti di altro tipo dovunque, specialmente nei quartieri che si sono rivoltati nel 2005. Si può sempre rimproverare al popolo di place de la République di essere dei liceali, dei giovani precari o degli individui che rappresentano solo se stessi. Occorre però farsi carico dello stato generale di quello che qui si chiama politica. In una Francia resa amorfa dall’offensiva cosiddetta neo-liberale, dalla frode socialista e da un’intensa campagna intellettuale contro tutta la tradizione sociale militante, non ci si può contentare di ridurre la Nuit debout al fatto che questo movimento non rappresenti sociologicamente granché. Affinché tale movimento vada più lontano, dovrebbe inventare parole d’ordine che lo facciano esplodere oltre se stesso. Ci si può forse impadronire della congiuntura pre-elettorale per creare non una “primaria della vera sinistra”, ma una mobilitazione molto forte contro il sistema presidenziale. Ci si potrebbe immaginare che un simile movimento vada a parare non solo a dichiarazioni sul fatto che non si voterà più socialista, ma a qualcosa come un movimento per la non-presidenza o per la soppressione della presidenza della Repubblica.

D: Le Nuits debout possono consentire di uscire dalla cappa di piombo post-attentati, simbolizzata da una place de la République reinvestita dalla parola e dalla lotta dopo che era diventata un mausoleo?

Rancière: Non bisogna chiedere troppo a questo movimento. Ma è vero che uno dei suoi elementi significativi è la trasformazione di una gioventù in lutto in una gioventù in lotta, anche se tale trasformazione non è agevole. Quando si va a place de la République, si vede che molto lentamente, tutt’intorno alla statua, dei simboli di lotta collettiva vengono a sovrapporsi alle espressioni del lutto. È difficile da realizzare a causa della controrivoluzione intellettuale che è riuscita a separare la gioventù da tutta una tradizione di lotta sociale e di orizzonte politico. Tipica di tutti i movimenti di piazza è stata la difficoltà di identificarsi in quanto portatori di potenza di avvenire e di proporre delle soggettivazioni collettive, delle identità da lavorare e trasformare contro le identità imposte, come hanno potuto esserlo dei collettivi operai o dei collettivi di donne. Ciò è ancor più vero in Francia, a causa della cappa di piombo ideologica creata da questa controrivoluzione intellettuale. In Grecia esistono potenti movimenti autonomi, che hanno creato luoghi di vita, di sapere o di cura. In Spagna, intorno alla lotta contro gli sgomberi, si è formato un collettivo che oggi regge il municipio di Barcellona. Movimenti e forme di organizzazione di questa ampiezza non esistono in Francia e il movimento Nuit debout è orfano delle basi di lotta che hanno potuto essere mobilitate altrove.

D: Anche se resta la sensazione che, con Nuit debout, si verifica qualcosa che manifesta una potenza di invenzione che rinnova certi modi di pensare della sinistra radicale?

Rancière: Non si sa di preciso cosa passa per la testa delle persone che si incrociano a place de la République. Vi si riscontrano cose molto disparate. Ma è vero che vi si trova un’esigenza democratica opposta alle vecchie solfe sulla “democrazia formale” come semplice apparenza che copre il dominio economico borghese. L’esigenza di democrazia “reale e subito” ha il merito di rompere con una logica di denuncia, che pretende di essere radicale ma produce di fatto una sorta di quietismo in ultima analisi reazionario, del tipo: comunque il Capitale è la causa di tutto e tutti questi che si agitano in nome della democrazia non fanno che mascherare il suo dominio e rafforzare la sua ideologia. Ma evidentemente si perde il senso si riduce la democrazia alla forma assembleare. La democrazia è faccenda di immaginazione.

D: Siete sensibile alla circolazione della parola, dello scritto, delle narrazioni nelle Nuits debout?

Rancière: Ci sono in effetti molte parole che circolano, anche se non sempre di una ricchezza indimenticabile. Alcuni vengono a recitare i loro poemi, ma raramente si tratta di una poesia che crea uno choc di novità. Allo stesso tempo, si vedono persone che non parlavano mai e che osano parlare in questo posto e dunque è significativo, anche se, per quanto se ne possa capire, questa circolazione della parola è meno ricca di quanto si era colto nel Maggio ’68. Per un verso, la forma assemblea permette a più persone di raccontare le loro storie. Per l’altro, si ha l’impressione di stare al di qua della fioritura di slogan e immagini multiple che, in molte manifestazioni recenti, aveva sostituito i grandi striscioni unitari di una volta. Per dirla meglio, il problema è che il desiderio di comunità egualitario non freni la potenza d’invenzione egualitaria.

D: Gli iniziatori della Nuit debout vogliono convergere con i sindacati nella prospettiva del Primo Maggio. Come valutate tale proposta?

Rancière: La “convergenza delle lotte” è un po’ la versione del grande sogno del Maggio ‘68, la saldatura fra studenti e operai. All’epoca ciò si era materializzato con il corteo studentesco in direzione di Billancourt. Oggi Billancourt è raso al suolo e la Sorbona è un posto dove si entra solo con una carta magnetica. La faccenda è stata dibattuta nel breve spazio intercorrente fra place de la République et la Bourse du travail [la sede sindacale a rue Château d’Eau, n.d.t.], in preparazione delle sfilate del Primo Maggio. In ogni caso, la questione della convergenza delle lotte dipende dalla questione della natura di queste lotte.

*Intervista pubblicata su Mediapart e tradotta da Augusto Illuminati per DINAMOpress: http://www.dinamopress.it/news/inte...


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Uno sguardo su Nuit Debout.

10 febbraio 202104:55, di kasi
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